Sul rapporto tra elevati livelli di colesterolo e mortalità c’è una diffusa consapevolezza. Poco, invece, è stato finora clinicamente documentato sui livelli ematici dei trigliceridi. A far chiarezza, arriva uno studio di alcuni ricercatori israeliani, guidati dal Dr. R. Klempfner, su un’ampia coorte di pazienti con malattia alle coronarie, accertata e stabile. L’obiettivo era trovare un’associazione tra livelli dei trigliceridi ematici e mortalità.
Le conclusioni dello studio hanno dimostrato che i soggetti con una trigliceridemia superiore a 500 mg/dl, hanno un elevata percentuale di rischio di mortalità. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Circulation Cardiovascular Quality and Outcomes.
Uno studio osservazionale lungo 22 anni
Un’attenta analisi dei dati del registro nazionale israeliano, su 15.355 pazienti - età media 60 anni, coronopatici o con episodi stabilizzati di infarto del miocardio - seguiti per 22 anni, monitorando i dati di mortalità. I pazienti sono stati suddivisi in 5 gruppi, in base ai livelli di trigliceridemia (a digiuno).
1) trigliceridi normali-bassi (<100 mg/dl); 2) trigliceridi normali-alti (100-149 mg/dl); 3) ipertrigliceridemia borderline (150-199 mg/dl); 4) ipertrigliceridemia moderata (200-499 mg/dl); 5) ipertrigliceridemia grave (≥500 mg/dl).
Alcuni dei pazienti erano trattati con bezafibrato, un farmaco della classe dei fibrati, ad attività ipolipemizzante, che riduce i trigliceridi e il colesterolo a bassa densità (LDL), detto cattivo. Lo studio è stato condotto in “doppio cieco” cioè né il paziente né il medico conosceva in che gruppo il paziente era assegnato.
Lo studio ha evidenziato che per ogni unità di logaritmo naturale (Ln) di aumento di trigliceridi il rischio di mortalità aumentava del 6%, indipendentemente dalla causa.
Dopo 22 anni, i pazienti con ipertrigliceridemia grave (≥500 mg/dl) avevano un aumento del rischio di mortalità del 68% rispetto al gruppo con livelli di trigliceridi normali-bassi (<100 mg/dl). E questo indipendentemente dai livelli ematici di “colesterolo buono”, cioè quello ad elevata densità (HDL).
Questi dati suggeriscono chiaramente che, soprattutto nei pazienti coronaropatici, il controllo dei trigliceridi, così come avviene normalmente per il colesterolo, è assolutamente necessario. I risultati di questo studio, detto BIP (Bezafibrate Infarction Prevention), sono stati pubblicati su Circulation Cardiovascular Quality and Outcomes.
Ipertrigliceridemia: cause e rimedi
Le cause che portano ad avere elevati livelli di trigliceridi nel sangue possono essere genetiche (primitive) o dovuti ad errati stili di vita (secondarie).
L’ipertrigliceridemia è considerato uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di una malattia coronarica (infarto), epatica (steatosi epatica) e pancreatica, anche indipendentemente da altri fattori di rischio. La stessa ipertensione arteriosa può essere associata ad elevati livelli dei trigliceridi ematici.
Quali sono i fattori che possono far aumentare i trigliceridi? Dieta, età, stili di vita (es. sedentarietà, fumo di sigaretta, alcool), alcune terapie farmacologiche e condizioni di alterato metabolismo che portano ad una dislipidemia generale.
Cosa fare per ridurre i trigliceridi? Se si è sovrappesi, dimagrire; ridurre o eliminare gli alcolici, così come il consumo dei zuccheri, tal quali o nei prodotti dolciari.
Anche frutta disidratata, fichi, banane, uva e altri frutti ricchi di zuccheri. Almeno 2-3 volte alla settimana consumare pesce, ricco di acidi grassi insaturi (i cosiddetti omega-3). Ogni tanto sostituire la carne con i legumi. Limitare il consumo di acidi grassi saturi e mantenere un elevato consumo di alimenti ricchi di antiossidanti. Completano il tutto, una regolare attività fisica.
Ma se tutto questo non è ancora sufficiente? Esistono diverse classe di farmaci che un medico può prescrivere a seconda dei casi, come ad es. fibrati, integratori a base di omega-3 e carnitina.