Qualche mese fa un evento su facebook riuscì a collezionare ben 60mila partecipanti: si rivelò in seguito una bufala ma ha avuto, probabilmente, la sua importanza in un'operazione di marketing un po' rischiosa che si sta per compiere nel nostro Paese. L'evento promuoveva l'apertura di uno Starbucks Coffee a Milano; una bugia che si appresta a diventare realtà, dopo anni di tentennamenti, nei primi mesi del 2017.
In questi anni l'azienda si è già espansa in Europa, ma con scarsi risultati: tra il nostro continente, quello africano e il Medio Oriente non riesce a superare, infatti, il 10% del fatturato complessivo.
Il caffè americano, forse, piace solo agli americani, ma questo è un rischio considerato e contemplato ampiamente dai "big names" dell'azienda.
Howard Schultz, presidente e CEO di Starbucks, ha ufficializzato la cosa con un comunicato ricco di informazioni, in cui si apprende che la partnership è avviata con licenziatario, proprietario e gestore il Gruppo Percassi (da Antonio Percassi, imprenditore bergamasco, presidente dell’Atalanta).
I rischi
Sebbene Starbucks, nata in America nel '71, avesse sempre detto di non avere progetti nel Belpaese a causa del nostro fortissimo legame con il caffè espresso, moltissimi sono stati i suoi estimatori, durante viaggi e scampagnate all'estero. Sono nate così, negli anni, numerose iniziative volte a spingere i fondatori dell'azienda ad investire in Italia; il risultato è stato ottenuto, ma è stato approvato con i piedi di piombo, consci che portare un nuovo caffè nella patria degli amanti dell'espresso, nero e stretto, è un impresa particolare.
"Se il paese che ha inventato la cultura dei bar dovesse respingerli sarebbe un duro colpo", ha commentato Laura Ries, consulente per il marchio in Georgia.
Nel comunicato stampa l’azienda ha assicurato di arrivare in Italia con "umiltà e rispetto". Schultz ha intenzione di sviluppare una miscela specifica per il nostro mercato, aggiungendo persino un elemento differente d'arredamento rispetto alle altre filiali: un bancone da bar tradizionale.
Di certo l'operazione di marketing è cominciata con il piede giusto; sono state pubblicate, infatti, due foto del presidente: una recente, vicino al Duomo di Milano, e una visibilmente più vecchia e sgranata, ancora in Italia ma nell'83.
La storia è famosa nell'America aziendale: il marchio Starbucks sarebbe nato proprio da un viaggio nella nostra penisola.
Le origini
Negli anni 80 Schultz era responsabile delle vendite per un’azienda di articoli per la casa.
Una piccola catena di caffetterie statunitense, la Starbucks Coffee, Tea and Spice Company, acquistava da loro le macchine per il caffè. Il nome Starbucks, incredibile ma vero, proveniva da un personaggio del romanzo "Moby Dick".
Quando Schultz visitò l'azienda ne rimase colpito. Si propose come direttore del marketing e cominciò a lavorarci su. Partecipando ad una fiera, in Italia, venne a contatto con la nostra cultura che lo conquistò completamente. In un suo libro ha scritto: "gli italiani avevano trasformato il caffè in una sinfonia".
Una volta tornato negli States convinse i soci ad aprire un bar apposito per il caffè espresso; gli fu concesso, ma quasi con sforzo e con pochissima fiducia.
Nel tempo Schultz tornò in Italia, lasciò Starbucks e fondò una nuova catena di caffetterie chiamata Il Giornale, dal nome del quotidiano. Quelli che ormai erano i suoi ex soci investirono nel progetto ma fu Schultz, poi, ad acquistare alla fine Starbucks da loro, dando vita all'azienda odierna.
"In sostanza, Starbucks è tornata a casa" - è stato dichiarato. Il rischio di approdare in un paese nuovo e fallire è alto ma di questo è l'azienda stessa a non farne segreto. Un buon approccio, sicuramente, per degli americani che vogliono guadagnare vendendo caffè espresso agli italiani.