Chissà se l'avrebbero detto i recenti maestri della medicina legale e forense torinese, Carlo Torre e Pierluigi Baima Bollone, che il capostipite della loro disciplina, Cesare Lombroso, con la sua teoria fisiognomica, avrebbe scatenato un simile putiferio? Probabilmente no, come ne sono stupiti gli studenti della loro scuola di esperti sulle cause di morte: Roberto Testi, Lorenzo Varetto, Sara Gino e molti altri, di fronte all'avanzata dal Sud Italia del Comitato "No Lombroso" che chiede la chiusura del Museo di Antropologia criminale, nato dalle collezioni del celebre antropologo e medico veronese.
Il "casus belli" è scoppiato in occasione dell'annuncio della presentazione del libro "Cento Città contro il Museo Cesare Lombroso" a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale, il prossimo 11 marzo. Da anni il Comitato Tecnico Scientifico "No Lombroso" sostiene che si tratti di uno scienziato che ha diffuso le sue teorie fisiognomiche agli albori dell'unità nazionale, originando la calamitosa teoria delle "Due Italie", con il Sud condannato alla inferiorità biologica rispetto al Nord.
Lo scopo del movimento è quello di restituire dignità ai resti umani esposti, già razziati a suo tempo dal medico positivista, e poi finiti al Museo di Antropologia Criminale.
Gli esponenti del comitato sono forti di un precedente a loro favore: la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, grazie alla quale i resti del brigante Giuseppe Villella sono tornati a Motta Santa Lucia, in provincia di Catanzaro, sua città natale.
Il dibattito si è fatto serio, rinfocolato dalla recensione del "Sole 24 Ore", di un saggio del neuroscienziato della Pennsylvania, Adrian Raine, che rivaluta Cesare Lombroso come biologista. Ed è proprio contro questa posizione definita "determinismo psicologico", ovvero di una causa-effetto dal corpo alla psiche, che gli anti biologisti insorgono. E ancora prima della presentazione di Torino, si terrà il 7 marzo un convegno al Teatro Franco Parenti di Milano sull'ultimo numero di "Brain Forum" dedicato proprio a questo studioso americano.
Il cosiddetto ideologo delle Due Italie
La contestazione viene così a coinvolgere aspetti cruciali della criminologia contemporanea, anche oltreoceano, dove di recente è emersa una posizione lombrosiana. In Italia, la polemica trova radici ben prima del libro "Maledetti Savoia" di Lorenzo Del Boca, e rientra nell'Insorgenza antisabauda, ma finora non ha trovato grande ascolto. Nel 2009 è stato aperto a Torino il Museo dedicato a Lombroso, a cento anni dalla morte del cosiddetto ideologo della "Unità d'Italia", in realtà fondatore dell’antropologia criminale. Al suo interno si possono ammirare preparati anatomici, disegni, fotografie, corpi di reato, scritti e produzioni artigianali e artistiche di internati nei manicomi e di carcerati.
"Singolare" definiscono gli universitari la presentazione del libro contro Lombroso a Palazzo Lascaris, dato che il museo è finanziato dalla Regione. Per fugare qualsiasi dubbio è intervenuto il presidente del Consiglio regionale, Mauro Laus, il quale ha spiegato che il Consiglio è una "istituzione plurale che nega l'ospitalità solo quando si ravvisano fondate ragioni".
E gli anti lombrosiani rincarano la dose citando una locuzione latina che recita: “Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini", alludendo agli atti vandalici di cui si rese responsabile la celebre famiglia ai danni della città, decisamente superiori rispetto a qualsiasi invasione barbarica. Invece i "No Lombroso" sostengono "Quod non fecerunt barbari fecit Cesare Lombroso". Il mondo culturale torinese si stringe però intorno al Museo, ritenendolo parte della comune tradizione scientifica e accademica.