Cinque giorni ai Campionati Mondiali di Russia ed i pronostici degli esperti sono sempre più serrati. Quale squadra riuscirà a prevalere sulle altre e portare a casa la Coppa del Mondo? Il Brasile è tra queste papabili, ma quando si parla dei verdeoro ai Mondiali è sempre obbligatorio inserirli tra i favoriti. Tutti elogiano Tite e ne hanno tutte le ragioni: è un tecnico che, in pochi mesi ,è riuscito a trasformare la malconcia truppa di Carlos Dunga che zoppicava nelle qualificazioni ed era reduce dalla figuraccia alla Copa America del Centenario, in una macchina quasi perfetta.
Con una straordinaria serie di successi, la selecao ha staccato con largo anticipo il biglietto per la Russia ed ora punta con decisione a quello che sarebbe, a tutti gli effetti, il sesto titolo iridato. Al di là di Neymar, giocatore che permette a questa squadra un ulteriore salto di qualità, quella brasiliana è una formazione tatticamente ordinata: solidità e pragmatismo si mischiano alla tradizionale creatività degli impareggiabili palleggiatori verdeoro, ma è un elemento che accomuna da oltre trent'anni un pò tutte le Nazionali brasiliane. Per certi versi, questo Brasile ricorda quello del 1994, il Brasile meno spettacolare e più concreto tra quelli che hanno sollevato la Coppa.
L'evoluzione del futbol bailado è allo stadio conclusivo ormai da tempo ed è curioso che nasca da un paradosso calcistico, da un 'orrore tattico' che farebbe rabbrividire molti allenatori moderni. Ma quanto era bello quell'orrore: nella sua improvvisazione, nella ricerca naturale del gesto tecnico ad effetto, nell'istinto e nella celebrazione collettiva del rito calcistico da parte di un gruppo di calciatori straordinari. Alcuni erano talmente forti da coprire le numerose ed evidenti lacune di altri loro compagni, taluni inappropriati al palcoscenico, altri semplicemente fuori ruolo. Era il Brasile del 1982, Mondiali di Spagna, quello sconfitto dall'Italia nel caldo pomeriggio del Sarrià di Barcellona.
Una squadra bellissima e perdente, come la grande Ungheria o l'Olanda 'arancia meccanica'.
Un paradosso calcistico
Nel calcio si dice spesso che i risultati coprano le magagne e, per quel Brasile, è stato parzialmente vero fino al 5 luglio del 1982, quando la tripletta di Paolo Rossi ne mise a nudo tutti i difetti. Abbiamo usato il termine 'orrore tattico' e, in effetti, tale era la squadra di Telé Santana: un portiere modesto come Waldir Perez (all'epoca aveva la fama di para-rigori), un pacchetto arretrato con due centrocampisti adattati al ruolo di terzini (Leandro e Junior), due centrali dai piedi buoni, ma con preoccupanti amnesie difensive (Lusinho ed Oscar). Davanti alla difesa due centrocampisti eccelsi come Falcao e Cerezo, creatori di gioco, ma non idonei all'interdizione sovente richiesta dal ruolo.
Una curiosità: non era affatto previsto che giocassero insieme, visto che il primo era inizialmente riserva del secondo. Ironia del destino, giocheranno insieme anche alla Roma. In posizione più avanzata i due tenori, Socrates e Zico che, con estrema semplicità, riuscivano a mettere in atto anche le cose impossibili. Le maggiori armi offensive di Santana poggiavano proprio sugli inserimenti in avanti dei due fuoriclasse a cui Eder dava supporto sulla corsia esterna sinistra e che sfruttavano essenzialmente le sponde di Serginho, centravanti boa, il più avanzato dei giocatori verdeoro, ma anche l'anello più debole della catena. Lento, impacciato, inconcludente, tecnicamente limitato e, dunque, un corpo quasi estraneo in quella squadra di danzatori: oltretutto, letteralmente imbarazzante in fase conclusiva.
Con un paio di veri difensori ed un centravanti degno di questo nome, forse quel Brasile non sarebbe stato battibile. In realtà, il centravanti titolare di quel Mondiale in Spagna doveva essere un certo Careca, ma un grave infortunio gli impedì di prendere parte al torneo. Che poi Santana abbia preferito Serginho a Roberto Dinamite è uno dei misteri del calcio non ancora risolti.
Una sconfitta che cambiò per sempre il calcio brasiliano
La storia del calcio brasiliano è fatta di straordinari trionfi e di campioni leggendari, ma come in tutte le parabole sportive esistono anche le sconfitte dolorose. Le peggiori di sempre per la torcida sono decisamente quelle dei Mondiali casalinghi con l'Uruguay nel 1950 e con la Germania quattro anni or sono.
Ma quella del 5 luglio 1982 con l'Italia segnò una svolta epocale che cambiò per sempre il calcio nel Paese del samba. La tattica intelligente applicata da Enzo Bearzot scarnificò tutte le pecche di una selecao che veniva da quattro vittorie, tra le vittime illustri c'erano state URSS ed Argentina, ed in cui aveva segnato la bellezza di 13 gol. L'opportunismo di Rossi calò come un machete su quel pacchetto di 'difensori per caso', l'estro di Conti e le discese di Cabrini trovarono praterie sulle corsie esterne dove non c'era nessuno che venisse realmente a contrastarli. La 'museruola' posta a Zico e Socrates (che nell'unica circostanza in cui sfuggiranno alla guardia arcigna della difesa azzurra confezioneranno un gol stupefacente e beffardo) fece il paio con il gioco d'anticipo di Collovati (e di Bergomi, subentrato dopo poco più di mezz'ora) sul modesto Serginho.
Alla fine il 'meraviglioso orrore' di Santana aveva tante varianti nella fantasia dei suoi frombolieri, ma un unico tema tattico nelle verticalizzazioni per la sponda del citato attaccante per favorire gli inserimenti dei fantasisti. L'anticipo costante della difesa azzurra fece più volte ripartire un contropiede che trovava quasi sempre sbilanciato il reparto centrale brasiliano, già proiettato verso l'area italiana. La sconfitta del Brasile nel 1982 è facilmente spiegabile nell'incapacità tattica di adattarsi alla versatilità italiana e nell'assoluta mancanza di vocazione difensiva: non dimentichiamo che ai verdeoro sarebbe bastato un pareggio per passare il turno. Ma fu dopo quel giorno che il Brasile decise di 'europeizzare' la sua filosofia calcistica.
L'evoluzione difensiva
Quattro anni dopo ci saranno ancora numerosi protagonisti della delusione spagnola, ma anche difensori veri e, soprattutto, un centravanti straordinario come Careca. Nel 1986 il Brasile guidato nuovamente da Santana sarebbe uscito ancora ai quarti di finale, ai calci di rigore, al termine di una sfida epica con la Francia di Platini. Nel 1990 la svolta di Sebastiao Lazaroni sarà considerata fin troppo 'europea', il CT adotta persino un battitore libero: scelta 'scandalosa' per il calcio brasiliano. Eppure il suo lavoro non sarà vano ed ispirerà anche Carlos Alberto Parreira ai Mondiali americani del 1994 che riportano il Brasile sul tetto del mondo grazie ad una difesa di ferro e due mastini di centrocampo, Dunga e Mauro Silva che, schierati davanti alla retroguardia, costituiscono una linea Maginot che, a differenza dell'originale, è impossibile da aggirare.
A fare la differenza in attacco sono sempre i fuoriclasse: Bebeto e Romario nel 1994, Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho nel 2002, nel Brasile del quinto titolo mondiale, altro mix tra ordine tattico, estro ed imprevedibilità. Il Brasile di Tite, grande favorito dei Mondiali di Russia, è probabilmente quello più forte dopo il 2002: come tutte le selecao degli ultimi trent'anni, è figlio di quel meraviglioso orrore tattico, di quella utopia calcistica che, probabilmente, senza l'Italia a far da guastafeste sarebbe ricordata oggi come una Nazionale vincente oltre che bella. E, forse, la storia sarebbe stata diversa.