Non se n'è parlato molto e può sembrare una notizia trascurabile, ma per il mondo dell'antichistica ieri, 29 settembre, è stato un gran giorno. Un'équipe composta da professionisti sia d'ambito scientifico sia d'ambito umanistico (radiologi, odontoiatri, ingegneri, archeologi e antropologi) ha eseguito per la prima volta sui calchi di 16 vittime (donne, uomini e un bambino) dell'eruzione di Pompei del 79 d.

C. una Tac multistrato modello Mx16 con un tubo radiogeno di 70 cm, uno strumento sofisticatissimo e potente in grado di realizzare scansioni volumetriche dell'intero corpo in 100 secondi. Le scansioni acquisite permetteranno, grazie a un software accuratissimo, la ricostruzione in 3D dei corpi delle vittime e di un paio di animali (un cane e un cinghiale) che sono stati ugualmente calcificati, favorendo uno studio approfondito sulle patologie degli antichi Romani in grado di accrescere la conoscenza antropologica del mondo antico e di aprire scenari finora inesplorati. Dalle prime analisi, infatti, sono già emerse novità importanti.

Una bella notizia per la Soprintendenza archeologica di Pompei, dopo le numerose amarezze legate a controversie politiche e polemiche sulla gestione dei siti archeologici. 

A Pompei la morte non avvenne per asfissia

Nel 79 d. C., sotto l'imperatore Tito, in una data sulla quale non c'è ancora accordo, ma parrebbe essere caduta in autunno, una pioggia di cenere e lapilli sommerse la città mercantile di Pompei, uccidendo gran parte della sua popolazione. Dalle prime osservazioni condotte all'interno di questo progetto e riguardanti le dentature delle vittime, emerge che lo stile di vita nell'Impero Romano era allora particolarmente sano: i denti perfetti rivelerebbero la consuetudine ad una dieta equilibrata e povera di zuccheri.

Gli unici danni rilevati dipenderebbero, infatti, dalla sola abitudine, che gli antichi avevano, di spezzare oggetti con i denti, forzando le mandibole. E se non è certo una novità che i Romani amassero la frutta e la verdura (molte sono le testimonianze letterarie, pittoriche e musive al riguardo), la scoperta opera comunque una piccola rivoluzione per quanto riguarda la conoscenza delle patologie nel mondo antico. Ma il dato più significativo interessa le cause della morte dei Pompeiani che non erano riusciti a mettersi in salvo dall'eruzione: non fu l'asfissia ad ucciderli, ma le ferite e le fratture craniali che riportarono in seguito alla caduta di tetti e calcinacci. Molte persone, infatti, non lasciarono immediatamente le loro abitazioni, ma si attardarono per mettere in salvo i propri effetti personali, restando, così, intrappolate nelle case sommerse dalle ceneri e dai frammenti di lava: le fenditure e le ammaccature presenti nei crani analizzati dovrebbero essere lette, dunque, come indizi di una morte avvenuta a causa di gravi lesioni.