Apre il 4 Novembre, in Calle Lunga San Barnaba, il primo ristorante africano di Venezia. Un ristorante tutto speciale dove i dipinti alle pareti rimandano a voli di uccelli migratori e alle onde del mare: ovvero la speranza, il viaggio, nuovi orizzonti da esplorare. Tutto questo non a caso.

Buona parte dello staff è infatti composto da ragazzi africani, migranti, che hanno raggiunto il nostro stivale in modi diversi, per cercare quella fortuna che nel loro Paese non hanno certo avuto.

E così Hamed Mohamad Karim, Hadi Noori, Mandana Goki Nadimi e Samah Hassan El Feky, i soci fondatori del locale e provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’Egitto, si sono rimboccati le maniche e hanno scelto di ricominciare insieme a tanti altri che come loro sono venuti da lontano, e di farlo con dignità: lavorando.

Perché il cibo, come ricorda Hamed, è un mezzo spettacolare per superare i pregiudizi. Così a lavoro all'africa experience si trovano richiedenti asilo come la chef trentenne etiope Alganesh Tadese Gebrehiwot, che ha imparato a cucinare con la mamma, perché in Etiopia la divisione dei ruoli è ancora viva e così le donne hanno il compito di badare alla casa e alle faccende domestiche: "Sono cresciuta aiutando lei e così ho potuto imparare alcuni dei piatti che ho scelto di preparare al ristorante, tra questi il pane Ejra o il Mesir wot, oppure una particolare zuppa di lenticchie.

Non avrei mai immaginato di essere un giorno una vera cuoca, e la cosa mi rende molto felice. Nel Sudan lavoravo come donna delle pulizie ma la realizzazione dei miei sogni mi appariva così lontana..."

Oltretutto è stato l’Istituto Alberghiero Barbarigo di Venezia a scegliere i piatti attraverso un concorso che ha visto professori e studenti come giudici speciali, costruendo così il menù del locale in modo partecipativo. Una bellissima storia che deve ricordarci quanto questi flussi, disperati e disperanti, non siano certo “il male”, anzi. Imbarcarsi sfidando il proprio destino è solo l’inizio di una immensa voglia di volare ancora, come quei quadri appesi alle pareti dell’ “Africa Experience”.