Roma. Correva l'anno 1977, in una calda giornata di maggio un colpo di pistola macchia di sangue le pagine della cronaca italiana, spezzando la vita di giorgiana masi, studentessa di soli 18 anni. Il ricordo di un omicidio mai risolto e destinato a rimanere un mistero senza colpevoli, che porta a galla 40 anni di bugie.

La cronaca

Era il 12 maggio 1977, termine di una giornata di scontri nella capitale, tra forze dell'ordine e dimostranti scesi in piazza per prendere parte a una manifestazione pacifica organizzata dal Partito Radicale in occasione del terzo anniversario del referendum sul divorzio.

Manifestazione indetta anche come pacifica reazione contro il divieto varato dall'allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga, a qualsiasi manifestazione politica nel Lazio, quale misura preventiva contro il terrorismo che al tempo imprigionava gli animi in una spirale di orrore. All'iniziativa si erano unite anche diverse fronde di sinistra extraparlamentare, alcune delle quali, come si è rilevato in un secondo tempo, armate.

Alle 19.00, in seguito ai violenti scontri susseguitisi durante tutta la giornata, alcuni parlamentari mediarono con le forze dell'ordine di consentire l'evacuazione dei manifestanti verso Trastevere.

Fu l'inizio di tutto. Gli scontri si fecero più intensi e più violenti. L'aria divenne sempre più pastosa a causa dei fumogeni lanciati ad altezza uomo dalla direzione di Ponte Garibaldi e continui colpi di pistola furono esplosi. Il caos. I manifestanti iniziarono a fuggire.

È in questo clima che all'altezza dell'incrocio tra Ponte Garibaldi e Piazza Gioacchino Belli la vista di Giorgiana Masi si annebbia di colpo, i rumori si fanno sempre più ovattati, il buio e poi il silenzio. La ragazza è stata colpita alle spalle da un colpo esploso da una calibro 22 impugnata da una mano rimasta ignota. Alcuni manifestanti raccontarono di aver visto la ragazza cadere, occhi sbarrati e mascelle serrate.

Poi venne caricata su un autoblindo. Il bollettino di fine giornata registrò otto feriti tra cui un carabiniere ferito al polso e una vita spezzata.

Le polemiche

Le polemiche non tardarono a scatenarsi al centro delle quali vi era il Ministro Cossiga e le nefandezze nella gestione dell'ordine pubblico. Egli in Parlamento dichiarò che alla manifestazione non vi erano poliziotti in borghese che sparavano ad altezza uomo e si dichiarò pronto a dimettersi qualora ci fossero state prove che rivelassero il contrario. Fu smentito dalle molteplici foto della manifestazione e degli scontri scattati da alcuni fotografi presenti. Una in particolar modo inchiodava il ministro alle sue bugie, che ritraeva un uomo in jeans e maglietta impugnare una pistola, si trattava di Giovanni Santone, poliziotto in borghese.

La foto fu scattata dal fotografo Tano D'Amico, il quale si disse convinto che il ministro si sarebbe dimesso. Non accadde niente.

Trent'anni dopo, in un intervista riportata sul Corriere della Sera, Cossiga alla domanda su chi fosse l'assassino di Giorgiana dichiarò: "La verità la sapevamo solo in quattro: il procuratore di Roma, il capo della mobile, un maggiore dei carabinieri e io. Ora siamo in cinque: l'ho detta ad un deputato di Rifondazione che continuava a rompermi le scatole. Non la dirò in pubblico per non aggiungere dolore a dolore". Perché? Potrebbe essere che Cossiga proteggesse qualcuno? La verità non venne mai a galla. Numerose tesi si annoverano tutt'oggi intorno al caso.

Lo stesso Cossiga nel 2005 avanzò l'ipotesi del "fuoco amico", un colpo di pistola partito accidentalmente da uno dei dimostranti.

Si è ipotizzato anche che il colpo sparato appartenesse ad un'arma rinvenuta in un covo delle Brigate Rosse o che fosse coinvolto il neofascista Andrea Ghira, uno dei mostri del Circeo, chiamato in causa dal complice Angelo Izzo.

Seppur rimasto ignoto l'assassino della studentessa, di chi siano le responsabilità politiche i Radicali lo hanno sempre sostenuto, lo stesso Marco Pannella ha ribattuto costantemente sulle menzogne di Cossiga. La verità? Una chimera rincorsa per anni, inutilmente dai genitori di Giorgiana, e dall'avvocato della famiglia, Luca Boneschi, militante radicale il quale in questa circostanza si aggiudicò una denuncia per diffamazione.

L'inchiesta fu archiviata il 19 maggio 1981 e da allora vani sono stati i tentativi attuati a far riaprire il caso.

A 40 anni dall'omicidio ciò che resta è una targa di bronzo affissa nel luogo dove una giovane donna rimase sull'asfalto insieme ai suoi sogni e alle sue speranze. Una vita spezzata, imputabile ai "magheggi" di un lato oscuro che per decenni ha mosso i fili di una storia, quella dell'italia degli anni Settanta, piena di buchi e misteri mai risolti.