Il boss mafioso ergastolano Giuseppe Graviano accusa Silvio Berlusconi di essere uno dei mandanti della strategia stragista intrapresa da Cosa Nostra nel biennio 1992-93. O almeno, è questa l’interpretazione data dai pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, il cui processo è in corso a Palermo proprio in questi giorni, alle intercettazioni ambientali del boss di Brancaccio, avvenute in carcere tra il gennaio 2016 e il marzo 2017.
Secondo i magistrati Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, alcune frasi pronunciate da Graviano come “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia… per questo c’è stata l’urgenza di…”, confermerebbero in pieno le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Secondo uno degli autori della strage di via D’Amelio del luglio 1992, infatti, lo stesso Graviano, durante un incontro al bar Doney di via Veneto a Roma nel 1994, aveva pronunciato la ormai famosa frase “ci siamo messi il Paese nelle mani”, facendo riferimento all’accordo con berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Graviano è sincero o lancia messaggi?
Certo, le parole pronunciate da Giuseppe Graviano dietro le sbarre sono forti, e il loro senso sembra quasi inequivocabile, almeno per gli addetti ai lavori. Ma qualche dubbio sulle reali intenzioni del mafioso stragista agli ordini di Totò Riina (presente in barella in videoconferenza al processo) viene comunque. Vero che Graviano, il 10 aprile 2016, durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno, parla di una cortesia chiesta da Berlusconi, convinto di vincere le elezioni in Sicilia e, per questo, desideroso, di “una bella cosa” che potesse smuovere le acque. Vero anche che, già tre mesi prima, il 19 gennaio 2016, il boss ricostruiva a modo suo la carriera imprenditoriale e politica del tycoon milanese, dipinto come un fortunato e un egoista che, una volta raggiunto l’apice del potere nel 1994, aveva scaricato gli ‘amici degli amici’ che tanto avevano fatto per contribuire alla sua ascesa.
Ma gli interrogativi sulle reali intenzioni di Graviano iniziano a sorgere con quanto registrato dalle microspie il 14 marzo 2017, quando il capomafia, sempre inconsapevole (?) di essere intercettato, si sfoga con un altro detenuto del fatto che questa persona (Berlusconi secondo i pm), dopo 25 anni di alleanza (dagli anni ’70), abbia cominciato a “pugnalarlo” dopo il suo arresto, avvenuto nel gennaio 1994. Graviano imputa al presunto Berlusconi di aver ridotto la sua famiglia in povertà e di stare facendo in modo di farlo “morire in galera”. Concetto poi ribadito il 28 marzo 2017 di fronte ai pm che gli chiedevano conto proprio di quelle intercettazioni. “Io sono distrutto psicologicamente e fisicamente con tutte le malattie che ho, perché da 24 anni subisco vessazioni - ha risposto ‘da boss’ in maniera sibillina Graviano - non sono in grado di affrontare un interrogatorio finché non sarò in condizione”. E quali sono le sue ‘condizioni’?