Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si sarebbero sentiti al telefono nel primo pomeriggio di ieri, giovedì 8 giugno, a pochi minuti dell’incidente parlamentare che ha affossato, di fatto, la legge elettorale frutto dell’accordo a 4 Pd-M5S-FI-Lega. Durante questa telefonata, il segretario Pd avrebbe ammesso che la colpa della mancata bocciatura dell’ormai famigerato emendamento sul Trentino Alto Adige, non sarebbe stata dei grillini, ma dei franchi tiratori telecomandati all’interno del suo partito. A detta dello stesso cavaliere, Renzi avrebbe indicato i nomi “di quanti erano contrari a quel tipo di riforma: Matteo Orfini (presidente Pd), Ettore Rosato (capogruppo alla Camera)e l’ex vicesegretario Lorenzo Guerini.
Da notare che, a riportare questo clamoroso retroscena, non è stato l’antirenziano Fatto Quotidiano, ma il quotidiano La Stampa in un articolo scritto da due ‘insospettabili’: Ugo Magri e Fabio Martini.
Le due verità di Renzi
Dunque, scrivono i giornalisti del quotidiano torinese, “alla Camera il patatrac si è consumato da pochi minuti”, quando “Matteo Renzi, dal suo ufficio al Nazareno, dà ordine di rompere platealmente con i Cinque Stelle e di attribuire loro tutte le colpe”. Una ricostruzione totalmente smentita questa mattina dal segretario Dem il quale, durante una diretta Facebook, ha dichiarato che è stato il M5S “a tradire l’impegno” sottoscritto e che Beppe Grillo “ha preso in giro gli italiani”.
Accuse rispedite al mittente, sempre via Facebook, da Luigi Di Maio che parla apertamente di “franchi tiratori di un partito allo sbando” che prova a scaricare la responsabilità di quanto accaduto sulle spalle del Movimento.
Tornando al retroscena riportato da La Stampa, l’ex premier viene descritto come “irritatissimo”, sia con i grillini “suoi nemici di sempre, ma anche con i suoi “amici del Pd”.
E non si limita solo a fare i nomi di Orfini, Rosato e Guerini come presunti capi della rivolta dei franchi tiratori, ma confessa proprio a berlusconi che se il Pd fosse andato “sotto sulle preferenze e sul voto disgiunto” sarebbe stato molto peggio perché i Dem avrebbero rischiato una “brutta figura”.
Inutile dunque e, forse, anche controproducente, che Renzi questa mattina si affanni ad incolpare il M5S della mancata approvazione del tedeschellum (“Chi ha preso in giro gli italiani ha un nome e cognome e si chiama Beppe Grillo”).
Molto più logico sarebbe smentire la ricostruzione offerta da Magri e Martini, ma questa smentita al momento in cui scriviamo ancora non è stata fatta. Intanto, proprio Di Maio si mette a dare i numeri: su 282 deputati Pd molti erano assenti, anche ingiustificati, e sarebbe bastato il voto compatto del gruppo renziano per respingere l’emendamento-truffa sul Trentino Alto Adige. La verità, come confessato dallo stesso Renzi, è che il Pd aveva paura di “andare sotto” sul tema delle preferenze.