Papa Francesco non è Giovanni XXIII ed il mondo non è sull'orlo della terza guerra mondiale. Nel contempo è assolutamente fuori di dubbio che l'operato di Papa Roncalli abbia influenzato i suoi successori dell'ultimo mezzo secolo e l'ultima enciclica del 'Papa buono', la Pacem in Terris, è ancora oggi un vademecum importante per il Vaticano. Quanto al tentativo di fare da tramite tra i due belligeranti, per fortuna fino a questo momento solo a parole, ci potrebbe essere nel momento in cui davvero si arrivi ai ferri corti.
Sebbene ormai da mesi si parli di una guerra in arrivo, Corea del Nord e Stati Uniti non hanno ancora intrapreso il sentiero del 'non ritorno'. Francesco è un Papa lungimirante, lo ha dimostrato in ogni sua azione. Ha teso la mano all'Islam nel momento in cui troppi cori beceri inneggiavano ad una nuova crociata, guidati da quella politica di basso populismo che per fortuna è stata parzialmente ricacciata indietro dalle urne del vecchio continente. La crisi coreana è un'altra storia ed il pontefice vi si avvicina in maniera molto cauta. Parlare di mediazione vaticana, pertanto, è prematuro, ma non c'è dubbio che, se la situazione dovesse aggravarsi, Jorge Mario Bergoglio farà la sua parte.
La prima tappa di questo cammino è un 'semplice' convegno, ma di grande importanza, perché coinvolgerà a Roma, il 10 ed 11 novembre, rappresentanti delle Nazioni Unite e della Nato in un unico tavolo per parlare di disarmo nucleare. Certo, ci sarebbe piaciuto che a quel tavolo sedessero esponenti di Washington e Pyongyang e qualcuno lo ha anche pensato, visti i toni solenni di parte della stampa che ha illustrato l'iniziativa. A raffreddare gli entusiasmi ci ha pensato Greg Burke, direttore della comunicazione vaticana. "Non si tratta di una mediazione tra Stati Uniti e Corea del Nord e non è nemmeno un summit. Si tratta di un convegno di alto livello". L'esaltazione da scoop 'preconfezionato' con la quale l'iniziativa è stata presentata la dice lunga sul modo in cui le forti tensioni in estremo oriente stiano influenzando il lavoro della stampa internazionale.
Naturale vedere in una figura di grande carisma, in un punto di riferimento religioso prima che politico, una possibile ancora di salvezza, così come fu il Papa buono oltre mezzo secolo addietro.
Il ruolo di Giovanni XXIII nella crisi di Cuba
Sono trascorsi 55 anni da quell'ottobre del 1962 in cui il mondo fu davvero sull'orlo della terza guerra mondiale. L'installazione dei missili balistici sovietici a Cuba, in risposta a quelli posizionati dagli Stati Uniti in Italia e Turchia, puntati verso Mosca, stava per causare lo scontro navale tra le due superpotenze. Il duplice messaggio di 'pace e buona volontà' che Papa Giovanni XXIII inviò tanto al presidente americano John Kennedy quanto al leader sovietico Nikita Krusciov fece certamente effetto sul primo, cattolicissimo, ma anche sul capo del Cremlino che vedeva il pontefice semplicemente come un altro capo di Stato e, come tale, nutriva nei suoi confronti stima e rispetto.
Gli storici sono concordi nell'indicare la mediazione vaticana come uno degli elementi che evitarono al mondo il disastro nucleare.
Il rischio nucleare nel mondo di oggi
La differenza tra il mondo di oggi e quello di 55 anni fa sta essenzialmente nei mezzi di comunicazione e nelle forme di espressione. Nel 2017 la parola 'guerra nucleare' viene pronunciata con estrema facilità, non poteva essere così nel 1962 ad appena 17 anni di distanza dai funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki, dinanzi all'inarrestabile corsa agli armamenti che caratterizzava Stati Uniti ed URSS le cui forze armate si erano già confrontate in qualche modo in Corea negli anni '50. Oggi il nucleare fa meno paura, perché questa paura non viene più inculcata nelle menti dei giovani da quando è finita la guerra fredda, dopo il tramonto dell'ideologia comunista tradizionale e la conseguente dissoluzione del blocco sovietico.
Ci sono vecchie e sbiadite immagini delle esplosioni in Giappone, le uniche due bombe usate in azioni di guerra, e di test nucleari effettuati negli anni '50 e '60. Per le nuove generazioni è come vedere un film d'epoca, senza l'ausilio dell'HD non desta alcuna sensazione. Eppure, se confrontiamo gli arsenali di oggi con quelli dei periodi citati, il rischio attuale sarebbe apocalittico considerata la potenza dei moderni ordigni. Mancando però una reale contrapposizione tra due grandi potenze, le armi atomiche sono diventate come le gemme di alessandrite: tutti sanno che esistono, in pochi le hanno viste davvero.
La strana contrapposizione
A resuscitare le vecchie paure ci sta pensando Kim Jong-un, il dittatore nordcoreano che sembra uscito da un romanzo di George Orwell.
Il dubbio che sia meno pazzo di quello che si crede è palese, forse sta solo bluffando ed è consapevole di non poter sfidare in guerra aperta la più grande potenza militare del pianeta. Probabile che non sia nemmeno in grado di colpire gli Stati Uniti con un missile intercontinentale dotato di una testata nucleare, almeno non ancora. Sull'altro fronte c'è un presidente americano come Donald Trump, anche lui con contorni romanzeschi o cinematografici non indifferenti: quelli del miliardario spaccone che all'improvviso si ritrova a guidare il colosso economico e militare del pianeta. Non sappiamo se qualcuno dei due sarà così audace (o folle) da mettere in pratica le proprie minacce, ma certamente ci troviamo di fronte a due personaggi ben più imprevedibili di Kennedy e Krusciov.
Alla fine la Corea del Nord è un piccolo Paese, pur dotato di uno degli eserciti più numerosi ed addestrati del mondo, e la contrapposizione non è differente da quella del recente passato tra l'Iraq e gli Stati Uniti, tranne che per le armi nucleari in possesso del regime di Pyongyang, la grande incognita di tutta la situazione oltre alla posizione ambigua della Cina.
Il bisogno di sicurezza
In questo scenario a tratti surreale, ma drammaticamente reale, il mondo ha bisogno di sicurezze e Papa Francesco è una di queste. Per il suo stile 'modernista', in linea con pontefici come il citato Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II e per tutto ciò che ancora oggi il Santo Padre rappresenta per quasi 1 miliardo e 300 milioni di persone.
Non è ancora tempo di mediazioni e dobbiamo augurarci che quel tempo non arrivi, perché in caso contrario l'orologio bellico sarebbe fin troppo vicino a suonare la sveglia. Papa Bergoglio, però, ha messo avanti il suo orologio ed il suo ultimo monito relativo alle armi nucleari che rappresentano "il suicidio dell'umanità" è indicativo sulle sue intenzioni. In casi estremi cercherà di dare il suo contributo, come fece Papa Roncalli 55 anni fa, anche se i due attori principali della crisi coreana non sembrano esattamente 'uomini di pace e di buona volontà'.