A fare notizia, come sempre, sono le dichiarazioni minacciose e le predizioni catastrofiche. Motivo per cui la notizia che il Pentagono avesse messo in stato di allerta permanente i bombardieri nucleari B52 aveva destato preoccupazione in tutto il mondo. Nemmeno 24 ore dopo è arrivata la smentita, alcune testate hanno parlato di 'fake news'. Attenzione all'uso indiscriminato di terminologie in voga, perché in realtà la fonte era di quelle sicure, l'ex ufficiale dell'Air Force, David Goldfein. L'ufficio stampa della stessa Air Force ha poi chiarito che c'era stata "un'incomprensione".
Nessun B52 pronto a spiccare il volo carico di bombe per la penisola coreana, dunque, ma la tensione resta altissima così come le intenzioni del Giappone di affrontare la minaccia in maniera più energica, qualora in futuro qualche altro missile nordcoreano sorvolasse i cieli dell'arcipelago nipponico. L'impressione è che la fase di stallo sia destinata a durare ancora a lungo. Kim Jong-un per il momento non ha ordinato ulteriori test missilistici, consapevole che, con la presenza di molte navi statunitensi e sudoreane nel Mar del Giappone, le acque sono un pò troppo agitate. Gli americani non andranno al di là di ciò che hanno fatto finora, dunque sfoggiare il loro potenziale bellico. Non ci sarà nessuna mossa azzardata, in vista del viaggio di Donald Trump in estremo oriente.
Ma proprio l'8 novembre potrebbe rappresentare una data di svolta per tutta la questione, quando il presidente degli Stati Uniti incontrerà nuovamente il leader cinese Xi Jinping e, per la prima volta, visiterà una superpotenza rivale, visto che il bilaterale è previsto a Pechino.
Cosa si diranno Trump e Xi Jinping?
Piuttosto scontati gli argomenti in agenda di questo confronto, a partire dalla situazione politica in Corea del Nord e, nell'ambito della stessa, la presenza dei sistemi antimissili THAAD di fabbricazione statunitense in Corea del Sud che Pechino (insieme a Mosca, ndr) ha sempre considerato una minaccia.
Ma anche la questione dell'arcipelago Spratly, le cosidette 'acque contese' del Mare Cinese meridionale che nei mesi scorsi hanno generato qualche tensione di troppo tra Cina e Stati Uniti dopo il passaggio di navi militari americane in un tratto di mare che Pechino rivendica come proprio (è accaduto lo scorso maggio, ma anche ai primi di luglio).
Ovviamente si discuterà anche delle relazioni commerciali tra i due Paesi, più che mai rivali dal punto di vista delle influenze internazionali, ma possibili partner sotto altri versanti, visto che stiamo parlando delle due economie più forti del pianeta. Cosa si diranno Trump e Xi Jinping? Sarà fornita una versione per la stampa, come sempre. Cosa si dicono davvero i leader mondiali nei loro summit non esce mai dalle 'stanze dei bottoni', ma ad ogni modo l'incontro è piuttosto importante in ottica Corea del Nord. Trump chiederà sicuramente al suo omologo cinese di aumentare la pressione sull'insolente dittatore di Pyongyang, Xi Jinping ribadirà la posizione della Cina, indirizzata verso la soluzione diplomatica ed assolutamente contraria ad un'azione militare.
Pechino non permetterà mai a Washington un'intervento volto a rovesciare l'attuale regime nordcoreano. Sotto questo punto di vista la situazione non è mai cambiata e se oggi, oltre sessant'anni dopo la fine della Guerra di Corea, esiste ancora uno Stato comunista nella penisola, è solo grazie alla presenza del potente alleato militare di Pyongyang. Trump è consapevole che la guerra a Kim Jong-un potrebbe anche avere l'effetto di creare uno scontro con la Cina. Ecco perché, a meno di futuri ed imprevedibili accadimenti, la seconda Guerra di Corea non scoppierà.
Un raid punitivo non eviterebbe la guerra
Esiste sempre l'opportunità del raid preventivo tanto caro a Washington e tanto abusato da tutte le amministrazioni che si sono date il cambio alla Casa Bianca dal secondo dopoguerra ad oggi.
Anche Trump, a pochi mesi dal suo insediamento, ne ha ordinato uno in Siria che, in fin dei conti, aveva più una valenza politica che militare. Mossa peraltro inutile, visto come sono andate le cose nel Paese governato da Bashar al-Assad. Ma un'azione del genere in Corea del Nord, con l'obiettivo di distruggere le basi missilistiche ed i siti di sperimentazioni nucleari, sarebbe inutile e dannosa, perché non eviterebbe una successiva escalation militare che si allargherebbe in tutta la regione, coinvolgendo Corea del Sud e Giappone e, probabilmente, la stessa Cina. Pechino continua ad essere la chiave di volta di tutta la questione, ne è convinto anche Michael Green, esperto internazionale che, tra l'altro, è stato direttore per gli affari asiatici del Consiglio di sicurezza USA durante la presidenza di George W.
Bush. "L'attacco degli Stati Uniti - ha detto, nel corso di un'intervista concessa alla stampa sudcoreana - non riuscirebbe a neutralizzare per intero le capacità missilistiche e nucleari della Corea del Nord che, immediatamente dopo, reagirebbe attaccando il sud della penisola ed il Giappone. Ritengo però che nemmeno la via esclusivamente diplomatica sia risolutiva, in passato sono stati sottoscritti altri accordi puntualmente violati da Pyongyang. L'unica soluzione resta quella di convincere la Cina ad esercitare tutta la pressione di cui è capace. Se mantenessero a lungo termine la pressione sanzionatoria - ha sottolineato Green - i cinesi potrebbero far mutare rapidamente i programmi del regime nordcoreano, soprattutto nel caso in cui venissero diminuite in maniera drastica le capacità di Pyongyang di dotarsi di tecnologie e materiali per lo sviluppo missilistico e nucleare". In parole povere, bisognerebbe far capire a Kim Jong-un che, a differenza del celebre nonno che guidò il Paese alla Guerra di Corea, stavolta sarebbe completamente isolato.