Della degenerazione nonché della morte delle forme di governo se ne parlava già nell’antichità. Come gli uomini, seguono anch’esse un ciclo vitale: nascono, progrediscono, degenerano e muoiono, succedute da un potere più consono ai tempi. Badate, però, che più consono non significa necessariamente migliore e ricordate che “i tempi” sono spesso schiavi dell’ira e dell’indignazione.

Polibio definiva questo ciclo con il termine anaciclosi. Non mi dilungherò molto sul pensiero di questo storiografo greco, ma mi limiterò a esporre molto brevemente il suo pensiero. Polibio prevedeva che le tre forme di governo monarchia, aristocrazia e democrazia degenerassero in tirannide, oligarchia e oclocrazia (o demagogia, usando un sinonimo improprio, ma alla portata di tutti) in un ciclo continuo, la cui matrice era la corruzione.

Da questa sua visione, emerge con chiarezza quanto non sia l’atto di forza in sé a porre fine a un regime democratico. Non è il colpo di Stato che uccide la democrazia, ma è essa stessa che muore, creando un terreno fertile per il colpo di Stato.

Infatti, quando la democrazia degenera in oclocrazia, si crea una situazione di confusione e, quindi, di debolezza da cui è facile che emerga un individuo, il futuro monarca, che richiamerà all’ordine. A tal proposito, una vera e propria doccia fredda, che ci porta a guardare con preoccupazione alle democrazie di oggi, è il film “Lui è tornato” di David Wnendt. La pellicola mostra come Hitler, ritrovatosi inspiegabilmente nel 2014, riesca non solo ad integrarsi nella società, ma anche a riacquisire consenso tra i cittadini, che lo credono solo un comico e un imitatore, costatando quanto le condizioni siano favorevoli e vantaggiose per un suo possibile ritorno. Ma ci arriveremo.

Che cosa mette fine alla democrazia

Erroneamente, si pensa che la democrazia muoia solo se giovane, perché in tempi brevi non riesce a creare un solido fondamento e un forte consenso da impedire un ribaltamento di potere. Questo potrebbe portare a pensare che le democrazie ormai consolidate e che si erigono da tempo siano fuori pericolo, però i fatti che sono avvenuti e che stanno tutt’ora avvenendo nel mondo portano questa idea a vacillare. Ma quand’è che una democrazia è in pericolo? Quando sprofonda in un clima di generale insoddisfazione che sfocia o in avversione o in apatia Politica. L’apatia politica è più dannosa, perché vede un dilagarsi di scarsa o mala informazione. Inoltre, un interesse ridotto o assente comporta anche una pericolosa diminuzione di attenzione.

Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, autori di “How Democracies Die”, hanno mostrato come le figure che riescono a cavalcare l’onda del dissenso siano quelle che sembrano allontanarsi dagli schemi politici comuni [VIDEO], non ritenuti più idonei a riflettere e a rispondere ai bisogni dei cittadini. Sono quelle figure solitamente definite “estreme”, che fanno presa sulla rabbia e le preoccupazioni delle persone. Sono quelle che portano avanti una "politica di emergenza", che permette a persone come Trump e Orbán di acquisire consensi. È dando a queste figure troppo spazio, che si può commettere il primo passo falso.

Fa riflettere la statistica condotta in Polonia tredici anni fa, che può o sembrare ormai datata o essere considerata come un presagio: su dieci persone, più di una si riteneva contraria alla democrazia, vendendola in un’ottica per niente positiva.

Nel 2012, poi, sempre in Polonia, si è arrivati ad avere una percentuale che superava il venti per cento di persone favorevoli a un potere di natura militare.

Steven Levitsky e Daniel Ziblatt spiegano, inoltre, cosa sia necessario affinché si possa mettere in atto un potere autoritario, dando scacco matto alla democrazia. Il politico deve innanzitutto garantirsi uno spazio d’azione maggiore, dove può agire senza temere l'imputabilità. Per farlo deve portare dalla sua parte nonché tenere sotto il suo controllo, per esempio, le forme giuridiche e la milizia. Naturalmente queste sono mascherate come mosse volte a proteggere e rafforzare la democrazia. La partita a scacchi, poi, procede con l’obbiettivo di far indietreggiare sempre di più le pedine rivali, ovvero i partiti che si oppongono al suddetto politico.

Ma non si vince con il totale annientamento, ma piuttosto con la formula “puniscine uno per educarne cento”. Come già aveva detto (o profetizzato) Polibio e come si vede nel film “Lui è tornato”, devono verificarsi, però, le condizioni “ottimali” per far sì che questo avvenga.

L’esperimento sociale della pellicola “Lui è tornato”

La pellicola si può definire un esperimento sociale, perché integra scene da copione con scene improvvisate, girate tra persone vere e ignare che agivano spontaneamente in base agli stimoli proposti, come accade in un’osservazione quasi sperimentale. Oliver Masucci viene fatto camminare tra la gente nei panni di Hitler, causando sì qualche dissenso, ma perlopiù una maggiore e terrificante ilarità.

Davanti alla Porta di Brandeburgo la gente sembra impazzire, non vede l’ora di scattarsi una foto insieme al Führer. Le persone intervistate da “Hitler” (non sapendo del film, naturalmente) mostrano un lato preoccupante della Germania, ma anche dell’Europa, perché le parole pronunciate dai tedeschi si possono sentire dire benissimo anche da un italiano, da un francese etc. La gente si mostra sempre più insofferente davanti a questa ondata di stranieri, vuole che se ne vadano dal loro paese, uno propone perfino di ricreare i lager, asserendo che avrebbe aiutato Hitler a ricostruirli. Frasi che mettono i brividi, che non lasciano libere interpretazioni e che gelano il sangue, quando si scopre che non sono dette perché scritte in un copione, ma perché pensate davvero.

Una scena preoccupante è certamente quella in cui, sempre nelle vesti di Hitler, l’attore Oliver Masucci sfila in macchina per le strade di Berlino, venendo salutato con il tipico saluto nazista, che se pure viene fatto scherzosamente, tanto ridere non fa.

I minuti finali sono quelli più inquietanti, in cui si susseguono immagini reali di scontri e proteste in cui si ascoltano frasi come: "no all’islamizzazione dell’Europa" o "siamo davanti a un governo di marionette" e infine "vengono dalla Romania, dal Marocco e noi dobbiamo restare a guardare?". Una bandiera dell’Europa viene fatta bruciare. Queste scene sono accompagnate dal monologo conclusivo che porta lo spettatore a chiedersi se davvero la democrazia sta morendo, se davvero lui può tornare. "Ora ho una visione di insieme e posso asserire che le condizioni mi sono favorevoli. In Germania, in Europa e nel mondo. È un buon punto di partenza".