Quando si parla di coronavirus Matteo Bassetti, infettivologo del San Martino di Genova, si estranea da toni allarmistici ed imposizioni. Questo non significa che non parli del pericolo che può esserci in agguato, ma quando è il caso non si sottrae dall'offrire pareri diversi dalla media dei colleghi. Anche quando c'è da mettere in chiaro che a fronte dell'esigenze restrittive legate alla necessità di contenere la diffusione del virus, c'è un risvolto della medaglia: la stanchezza collettiva in una vita a cui è stata strappata via la quotidianità.
Può fare rumore la sua idea secondo cui si potrebbero riaprire gli stadi. Soprattutto se si prende il concetto e lo si decontestualizza. Tuttavia, nel corso de L'aria che tira su La7, ha avuto modo di spiegare quella che è la logica dell'affermazione. "Ho detto e ne sono convinto: Se vogliamo aprire cinema e teatri che sono ambienti chiusi, non vedo dove sia il problema di aprire uno stadio. Magari con una capienza di 20.000 posti con 1.000 o 2000 persone".
Coronavirus e riapertura stadi, Bassetti spiega il senso della sua idea
Negli ultimi giorni si sono viste diverse scene di persone al di fuori degli stadi.
"Quello che è successo domenica scorsa e mercoledì - ha precisato l'infettivologo - è frutto del fatto che la gente non ne può più. È molto peggio avere 10.000 persone davanti lo stadio San Siro, senza nessun controllo, uno sopra l'altro, che averli ben ordinati seduti a cinque metri di distanza all'interno di uno stadio".
"Questo - ha aggiunto - si tratta di avere buonsenso, non di voler correre. Se apriamo un cinema o un teatro, quale è il problema di aprire uno stadio all'aria aperta? Soprattutto oggi che andiamo verso anche delle temperature più miti?".
Bassetti si è poi soffermato su quelli che potrebbero essere le caratteristiche della terza ondata che potrebbe profilarsi. Situazione per la quale resta convinto che le misure mirate e non nazionali rappresentino la strada giusta per fronteggiare il fenomeno a livello locale.
"Ancora più - ha precisato - oggi di quanto lo fossero prima".
Terza ondata, Bassetti spiega come potrebbe essere
Ne ha parlato nel corso della trasmissione Tagadà, sempre su La7. "Noi oggi - ha spiegato - vediamo una terza ondata molto più simile alla prima che alla seconda. La seconda è stata un'onda molto omogenea che è partita nel mese di ottobre e che ha colpito tutta l'Italia. Oggi abbiamo una terza ondata che parte molto a spot. Abbiamo regioni piccole che, in qualche modo, hanno problemi. Abbiamo regioni grande che hanno zone in cui le cose non vanno. E in quelle zone bisogna intervenire molto più rapidamente di quanto abbiamo fatto a livello regionale, con provvedimenti persino più grandi della zona rossa.
Fare una zona rossa unica italiana porta ad un abbassamento della guardia".
Per avvalorare la sua tesi porta l'esempio del periodo natalizio quando la strategia del governo fu quella di misure omogenee a livello nazionale nei giorni festivi. "A Natale - ha spiegato - tutto rosso voleva dire non essere rosso. Se facciamo provvedimenti a livello locale, le persone sono anche più in grado di accettarle. Sanno che gli ospedali sono pieni, i contagi crescono. Accettano più di buon grado le misure e inevitabilmente funzionano di più".
Lockdown totale in Italia? Per Bassetti sarebbe utile a condizioni che oggi non ci sono
"Un lockdown nazionale - ha proseguito - ha senso nel momento in cui ha disposizione 15 milioni di dosi di vaccino.
Ti metti due settimane in pista per farli, un milione al giorno. Sono sette milioni e mezzo di persone. Se ci fossero sarebbe molto utile, ma non le abbiamo".
"Noi dobbiamo - ha evidenziato - andare a colpire quelle zone in cui c'è alta circolazioni di varianti, alta circolazione di virus, con il vaccino. Un po' quello che sta facendo nelle aree del bresciano la Lombardia. Si vaccina, ma non le categorie a rischio , tutti a scendere. A 360 gradi. Questo può essere un provvedimento ed è l'unico modo che abbiamo per fermare le varianti'.