E' la Nouvelle Vague forse il primo movimento cinematografico a testimoniare l'immediatezza del 'divenire in tempo reale' e la realtà in cui esso stesso prende vita. Nel 1964 Andy Warhol, in America, girò una ripresa continua di otto ore dalla prospettiva dell'Empire State Building. Testimonianza di incondizionato, immodificato e ammirato scorrere del tempo. Ha studiato bene l'innovazione tecnica francese Lars Von Trier quando fa diventare la camera a spalla il testimone unico del suo reale, che però non è mai lineare o equilibrato.

Sempre in Europa, prendono vita saghe schermiche come Heimat e qui il tempo documentato è la base della storia narrata. Ho richiamato a cornice alcune esperienze della storia del Cinema perché l'uscita di Boyhood dell'americano Linklater è stata descritta da tanta critica come una innovativa riflessione autoriale sullo scorrere del tempo. La peculiarità del suo impianto (40 giorni di narrazione, girati in 12 anni effettivi, cast artistico di cui la macchina da presa osserva impietosa il naturale invecchiamento) fa sì che esso sia certamente (anche) un memory movie. In effetti qui c'è documentato senza liricità il trascorrere della vita; Assistiamo ad una certosina ricerca di annullamento del verosimile (proprio del cinema) attraverso iniezioni di pura quotidianità; Scompare l'artificio de 'il viaggio dell'eroe' (i colpi di scena, i peggioramenti, le svolte) in luogo del celebrare l'assoluta normalità.

Sul piano squisitamente tematico c'è un film che mostra in primo luogo "la ricerca di un posto nella vita dove stare": il giovane protagonista che cresce e sperimenta, la di lui mamma che tenta di bilanciare il proprio ruolo genitoriale (condotto in solitudine) con la professione ma soprattutto con l'essere donna e il papà che è di base un ottimo amico ma è incastrato nel ruolo di genitore a distanza. Siamo avvolti da una fotografia raffinata e rigorosa che a suo modo ovatta un 'quotidiano' schermico che non ha sotto-testi e corrisponde proprio a ciò che vediamo noi spettatori senza alcun segreto e veniamo guidati nella visione di tutto il film da un montaggio molto dinamico davvero da premio Oscar, senza sbavature, che rende 'perfetti' i tranche de vie ripresi da Linklater, sbugiardando chiunque affermi che in questo film non succede nulla.

L'andamento rapido e la dinamica del divenire sono tutti racchiusi nella 'tecnica' cinematografica scelta, il movimento dello scorrere del tempo nella trama è espresso dai (tanti) movimenti di macchina. Film, che affida la sua risultanza ad un preciso, conciliante e dinamico insieme di movimenti fluidi, carrelli sagittali e scorrevole successione di quadri. Ma c'è anche un punto di contatto con la riflessione dei francesi della rive gauche, non tanto nell'esigenza di realismo nelle dinamiche dei personaggi quanto nei fatti politi e sociali che irrompono con grande precisione nella narrazione. Dai tragici fatti dell'11 settembre approdiamo alla salita al potere di Obama.

Ecco inconscia la lezione morale della nouvelle vague: deve sempre esistere un'esigenza di realismo nel film.

La risultanza di Linklater è però quella di un film che testimonia l'evoluzione della quotidianità dei protagonisti, senza idealizzazione o giudizio alcuno, dove sullo sfondo la cronostoria dei fatti politici e sociali contemporanei eleva al quadrato la presenza di 'realtà' e ci porta a chiederci dove si celi davvero l'invisibile che è in noi e nel mondo. Non andate a vedere il film caricandovi di attese, lasciate che la sua forza espressiva vi sorprenda attraverso la sua accurata semplicità.