Vincitore dell'Orso d'argento per la migliore regia all'ultimo Festival di Berlino, dove era anzi stato dato per favorito per la corsa all'Orso d'oro, "L'altro volto della speranza" è il nuovo affresco di Aki Kaurismaki. "L'altro volto della speranza" è un quasi capolavoro che racconta la Helsinki "normale" dei cittadini finlandesi e il suo volto nascosto, meno conosciuto, rappresentato dai rifugiati arabi arrivati clandestinamente e costretti a vivere senza un'identità.

Il primo è incarnato dalla figura del cinquantenne Waldemar Wikhstrom, un tranquillo finlandese che decide di lasciare la moglie e il lavoro per aprire un ristorante in città alla ricerca del suo "miracolo". Non siamo più a Le Havre ma ci troviamo in un identico paesaggio urbano. L'altro è invece incarnato dalla figura di Khaled Ali, un rifugiato siriano scampato ai disordini politici del suo paese. Come un moderno Dheepan, Khaled cerca di integrarsi nella nuova città tra mille difficoltà andando alla ricerca di sua sorella Miriam.

Un racconto poetico a tinte bohémien

"L'altro volto della speranza" riesce ad essere insieme un quadro sociale e un pittoresco ritratto bohémien della Helsinki.

Aperto da una bellissima sequenza iniziale che sembra volersi rifare a del buon vecchio Cinema francese, "L'altro volto della speranza" è un film che si potrebbe raccontare unicamente attraverso le immagini senza mai annoiarsi. E in fondo, in parte lo fa, riducendo i dialoghi all'essenziale e lavorando sulla tensione dinamica degli sguardi in un montaggio fatto di intensi primi piani e fuori campo. L'idea di vedere spesso un dialogo riprendendo il più delle volte un personaggio alla volta piuttosto che due insieme riesce a trasmettere l'idea di un discorso frammentato in due, due come i volti della Finlandia raccontati dal regista.

La traversata di Helsinki

Ciò che il regista trasmette è il paesaggio di una nazione che sta cercando una convivenza tra l'autoctono e lo straniero, tra il vecchio e il nuovo.

E la complessità di questo discorso viene superata servendosi di diversi riferimenti da René Clément, Jacques Tati e Rainer Werner Fassbinder. Per una storia che poteva essere una rivisitazione finlandese di un vecchio film francese, "La traversata di Parigi", il regista sceglie un approccio sospeso tra classicità e modernità, due elementi che convivono in ogni singolo frame di film cercando perennemente una risoluzione al conflitto.