Si intitola “Gioia e Rivoluzione”, come la famosa canzone degli Area, gruppo sperimentale e fortemente politicizzato degli anni Settanta. E sperimentale e rivoluzionaria (benché assai ironica, un po’ folle e a tratti parodistica) è stata senz’altro la performance inscenata l’altra sera al Mondadori Megastore di Piazza Duomo, a Milano, da un gruppo di giovanissimi membri di una crew artistica (“il più vecchio di noi non ha ancora compiuto vent’anni”, hanno rimarcato con orgoglio), la Felipe Cardeña Crew.
Chi sono? Sono ragazzi provenienti da vari paesi (uno di loro, che veniva dal Gambia, ha recitato un lungo discorso in dialetto wolof, la lingua africana che si parla in Gambia e Senegal, lasciando il pubblico esterrefatto e totalmente incapace di capire cosa stesse dicendo, come in una pièce surrealista), che da tempo costituiscono il seguito di Felipe Cardeña, artista “misterioso in stile Banksy” di origine catalana, ma da tempo stabilitosi a Cuba (così recita la sua biografia).Cosa fanno? Progetti di Arte pubblica, spesso a sfondo sociale, come la decorazione di cabine semaforiche per combattere il grigiore delle città, la costruzione di una “tenda hippy” per la Biennale di Venezia di due anni fa, o l’intervento, di fianco a quello dello street artist Blu, nell’ex Opg Occupatp “Jè so’ ppazzo” di Napoli, vero progetto di coesione sociale pacifico, corale e assai riuscito.
Oggi, i ragazzi della crew, abbigliati con abiti floreali, pieni di collane, bracciali, toppe e stoffe multicolori, oltre che armati di strani “scettri” tribali, nonché dotati di passamontagna di ordinanza, ma anch’essi coloratissimi e floreali, hanno annunciato al mondo la nascita di una nuova Repubblica. Quale? La Repubblica “anarchica, artistica e transtemporale” del Paese di Cardeña, annunciandone formalmente l’indipendenza dal sistema dell’arte italiano e internazionale.Se il progetto in sé è dichiaratamente politico, non è però privo di rimandi ironici, autoironici e fortemente parodistici rispetto alle tante situazioni globali di protesta permanente, sempre “spettacolarizzati” e inglobati dal potere dominante nel momento stesso in cui vengono allo scoperto, oltre che verso le nuove spinte nazionaliste o separatiste che risuonano un po’ ovunque nel mondo, a cominciare dalla Catalogna (ed essendo Felipe di origine catalana, non è escluso un sottofondo di simpatia, o comunque di adesione, alla causa autonomista del suo paese natale).
Certo è che l’obiettivo principale, il “bersaglio grosso”, è senz’altro il sistema dell’arte, “morto, sepolto sotto cento e passa anni di opere inutili e formalmente sciatte, da idee malsane e stomachevoli, da pippe mentali spacciate per brillanti intuizioni artistiche”. Definito dalla crew “una carogna in putrefazione, un golem abbruttito dalla sua stessa reiterata stupidità, uno zombie che, come in un filmaccio per bambini deficienti, porta a spasso la sua carcassa infettando chi si trova per caso a incrociare la sua strada”, il sistema dell’arte, recita il testo declamato l’altra sera dal portavoce della Crew, “continua imperterrito i suoi vecchi e stanchi riti, spacciando spumante a buon mercato nelle inaugurazioni, promuovendo decerebrati alla guida di giornali e di poli museali, prendendo ordini da ometti senza uno straccio di idea per rimpinzare i conti in banca di quattro furbastri diventati per grazia ricevuta i padroni del vapore”.“Il sistema è morto”, hanno proclamato a gran voce i componenti la crew, “e quando lo scoprirà, sarà troppo tardi per tornare indietro, troppo tardi per tentare una respirazione a bocca bocca, troppo tardi per salvare dal disastro i pochi gaglioffi ignoranti che credevano di potersi arricchire impunemente a spese dei creduloni che hanno comprato le quattro cianfrusaglie che i camerieri di turno, improvvisatisi curators, hanno malauguratamente consigliato loro di comprare.
Il sistema è morto”, hanno infierito, “e non c’è riforma o riformicchia che tenga: l’unica è abbatterlo con un colpo alla nuca, o tirarsene fuori, e lasciare che s’impicchi con le proprie mani”. Per poi concludere: “Noi, che del sistema ce ne freghiamo, abbiamo la forza, l’ardire e la giovinezza per starne allegramente alla larga. Una nuova avanguardia è nata, ma noi non riveleremo a nessuno dove si trova la chiave per accedervi, perché solo i veri adepti, i folli, i disadattati, i malati mentali, coloro che hanno prematuramente conosciuto l’abisso della propria anima e quelli che hanno assaggiato il bastone della repressione e dell’ipocrisia borghese, possono abbracciare la nostra causa”.E, sottolineano ancora i ragazzi della crew (che, “come i futuristi della prima ora”, dicono di non avere “padri né nonni cui portare rispetto”), non è un caso che la proclamazione di questa “nuova avanguardia” e di questa folle “Repubblica dell’immaginazione e del desiderio” avvenga il 10 ottobre 2017, “a cinquant’anni e un giorno dall’assassinio di Che Guevara in Bolivia, nostro fratello di sangue e nostro compagno d’avventure”: del quale, durante la performance, campeggia per tutto il tempo alle spalle dei ragazzi un maxi-ritratto eseguito dall’artista, ma immerso in un lussureggiante pattern di fiori, colori, perline colorate, ma anche marchi di moda, come a ricordare che anche la Rivoluzione, oggi, è dopotutto un affare di “griffe”, di immagine e di “mode”.
Un proclama rivoluzionario in piena regola, dunque? In parte sì, e in parte una sofisticata parodia dell’arte ribelle di tutti i tempi, barricadera da giovane e attaccatissima al potere da adulta (basti pensare alla triste parabola dell’Arte Povera, oggi celebrata a Roma alla Gam come “arte ribelle”, ma in realtà divenuta arte istituzionale che più di così non si può, amata nei salotti borghesi e osannata dalle istituzioni “borghesi” che in teoria, ma solo in teoria, voleva contribuire a scardinare).
Così, per non correre il rischio di “istituzionalizzarsi” e di tradire i propri ideali nel nome del denaro o del potere, i ragazzi della Felipe Cardeña Crew avvertono infine, coerentemente con la loro vocazione anarchica, che, nel momento stesso in cui istituiscono questa nuova Repubblica, “anarchica e sovratemporale”, basata “sull’immaginazione, sulla psichedelia e sul desiderio”, immediatamente la distruggono: “perché”, avvertono, “crediamo che il solo potere legittimo sia quello dell’immaginazione”.Sarà l’età giovanissima, la baldanza ancora adolescenziale o la spinta autoironica, surreale e giocosa, certo è che gli scapigliati membri della Cardeña Crew ci avvertono che intendono “cantare vittoria prima ancora di aver combattuto qualsivoglia battaglia, perché la bellezza, la gioia, l’immaginazione stanno dalla nostra parte, e chiunque abbia a cuore le sorti del piacere del pensiero fluido e senza schemi, liberato dalle incrostazioni del perbenismo e della maleducazione di un’arte stanca, malata, esangue e mortalmente noiosa, verrà da noi cantando e ballando sopra strati di nuvole variopinte e di rificolone colorate… Come Davide contro Golia”, concludono i giovani rivoluzionari, “noi sappiamo già che vinceremo, perché siamo gioiosi, strafottenti e indifferenti alle lusinghe del potere”.
Se non altro, non ci toccherà beccarci in futuro altri Soloni che a vent’anni volevano rovesciare il mondo, e si ritrovano poi a sessanta a non avere altro Dio che il denaro, l’arroganza delle loro idee e l’amore per il potere. Questi, anarchici per davvero, non vogliono costruire nulla, se non la bellezza delle opere che contribuiscono a realizzare con le loro mani, griffate poi Felipe Cardeña: colorate, folli, divertenti, allegre, sono l’emblema perfetta di un’era che ha perduto l’incrollabilità delle ideologie, ma non la voglia di fare, di partecipare, di andare “contro” e di riempire il mondo di gioia e di colori.
E vedremo presto se, dopo questa tappa milanese (compiuta in occasione della mostra di Felipe Cardeña “Pop Up Flower”, nell’ambito del progetto “Start” curato da Angelo Crespi), la verve rivoluzionaria della crew concederà il bis a Pavia, durante la mostra Politica Ideali Violenza Amore - mezzo secolo di arte impegno alla Neon Gallery, dove l’artista presenterà alcune opere dedicate a Che Guevara, a Mao e al rapporto tra occidente e Islam radicale.