A Milano, alla galleria Dream Factory di corso Garibaldi 117 fino al 7 marzo 2018 ci sarà Structures, personale di Matteo Procaccioli. La mostra, curata da Angelo Crespi, presenta una serie di opere dell’artista milanese di origine marchigiana che si caratterizza - da un punto di vista tecnico - per il suo utilizzo particolare della fotografia, che riporta alla mente le istanze della Photo-secession di Alfred Stieglitz: lo scatto, infatti, funge da innesco, da base sulla quale viene fissato l’”istante” cui poi, in fase di postproduzione, l’apporto fortemente materico di Procaccioli darà risultati decisamente pittorici.

Structures, alla galleria Dream Factory di Corso Garibaldi a Milano

L’opera di Matteo Procaccioli si caratterizza per una costante ricerca sul paesaggio urbano, in cui l’intento è quello di eternare il “tra”: ovvero, la complessa fase di passaggio fra la contemporaneità e la storia. In Structures imponenti paesaggi suburbani vengono ritratti, svuotati - come sempre, nelle opere dell’artista - dalla presenza umana, la cui assenza diventa così, paradossalmente, assordante presenza. Si tratta di edifici che in tempi non troppo remoti erano considerati “moderni” e che avevano una funzione ben definita ma che, in poco tempo, si sono svuotati della propria funzione (e quindi della vita stessa), trasformandosi in maestosi monumenti alla società postindustriale.

Monumenti che affiancano - o, per meglio dire, dalle periferie circondano - ciò che troviamo nei centri storici delle città, ovvero i monumenti della classicità e delle epoche dorate delle civiltà umane, in cui la bellezza era posta al centro dell’attenzione - ad affiancare e completare la funzionalità - e che si limitano all’aspetto pratico; l’architettura vista quindi come espressione evidente e solida della deriva generale della società moderna, che sostituisce il produrre al creare, e che sempre più trascura l’essere umano, che diventa completamente anonimo.

Fino - appunto - a scomparire.

Oltre alla figura umana, la grande assente nelle opere è la natura. Il discorso è però analogo: nell’archeologia industriale ritratta dall’artista appare l’aspetto snaturato - che di disumanizzato è tutto sommato sinonimo - della società moderna; e nelle moderne periferie delle grandi città, i capannoni e le fabbriche hanno ormai da tempo rubato la scena ai campi e alle cascine.E Procaccioli, nel ritrarre tutto questo, non si pone in un atteggiamento critico nei confronti di queste realtà, né azzarda alcuna analisi: semplicemente raffigura, e 'rifigura'.

E invece di documentare, sceglie di suggerire, di evocare, filtrando il tutto attraverso la poesia del suo sguardo.