Un film su Vincent Van Gogh non è cosa nuova e lo ha detto chiaramente il regista Julian Schnabel nella conferenza stampa di presentazione il 3 settembre al Lido di Venezia alla 75^ Mostra del Cinema. Quello che cambia in "Eternity's Gate", che tenta di intravedere l'enigma dell'ispirazione artistica, è proprio il fatto che non intende restituire il ritratto di un artista patologicamente cupo e depresso, ma rende l'intera pellicola una sorta di mirabolante nebulosa di luce e colore all'interno della quale la sceneggiatura di Louise Kugelberg e Jean Claude Carriere si staglia con un ritmo definito, quasi incalzante.
Il risultato fra la sospensione dello sguardo nel mistero della mente dell'artista e la necessità narrativa legata all'ancoraggio della trama, delle notizie biografiche, delle fonti consultate, è molto ben equilibrato, un esito certamente agevolato dal fatto che lo stesso Schnabel è un pittore molto noto. "Il criterio che ho interiorizzato nell'ideare questo film - ha chiarito il regista - è stato tratto dalle sensazioni che si provano nel visitare una pinacoteca, quando ogni quadro è esaminato e al termine le percezioni si accumulano e si integrano. Ho cercato di sviluppare la mia opera da questa risonanza".
Un film che non si spiega
La pellicola punta alle essenze, ai dialoghi di Van Gogh, desunti dai suoi epistolari, con le persone che ne hanno caratterizzato l'esistenza. Innanzitutto il fratello Theo, mercante d'Arte, poi l'amico Paul Gaugin, Madame Ginoux incontrata nel soggiorno di Arles, il medico del nosocomio di St. Remy Paul Gachet, il veterano di guerra Jacobus che potrebbe aver ispirato l'ultimo dipinto del 1890 "Sulla soglia dell'eternità" concluso pochi mesi prima della morte. Molto efficace il cast del film nel quale compaiono Emmanuelle Seigner, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Almaric, Vladimir Consigny e Willem Dafoe, nella parte di Vincent Van Gogh. "Non potevo che assegnare a Dafoe la parte del protagonista - ha commentato Schnabel - e a lui sono legato da una conoscenza ormai trentennale, ma tutti insieme abbiamo contribuito intensamente alla realizzazione di questo lavoro per il quale non fissiamo vie interpretative univoche e certe.
Ad esempio, le ricostruzioni ufficiali stabiliscono per Van Gogh una fine suicida ma l'arma con cui l'atto dovrebbe essere stato compiuto non è mai stata ritrovata. Quanto all'autenticità di schizzi e dipinti, vi potrei raccontare che un direttore, parlando con me, ha asserito che sono autentici solo quelli custoditi nel suo Museo".
Verità, profezia, attualità
Alcuni aspetti della vita di Van Gogh seguono traiettorie indiscusse, ad esempio il fatto che avesse ereditato una fervida fede cristiana dal padre, pastore protestante, e che considerasse l'arte un'esaltazione febbrile sulla scorta di Hals, Goya, Velasquez, Delacroix, Veronese. Il film mostra la contemplazione estatica della natura, soggetto infinito impresso nei girasoli di Arles o negli ulivi di Remy e l'itinerario artistico percorso nella consapevolezza di non poter essere compreso dai propri contemporanei, ma da esseri che avrebbero dovuto ancora nascere.
Gli occhi ed il volto di Dafoe scolpiscono bene lo stato d'animo dell'artista che ripeteva di voler dipingere per insegnare agli altri a guardare il mondo e per raccogliersi nel proprio rapporto con l'eterno. Singolare la convergenza di significati con le dichiarazioni emesse in un altro sfondo da Pippo Del Bono, interprete nel film di Amos Gitai "A tramvai in Jerusalem" presentato nella stessa giornata del 3 settembre a Venezia e riferito al mosaico di esperienze spirituali che attraversano la grande città ebraica. "Il senso del vivere e del morire - ha specificato Del Bono - è compito dell'artista e di coloro che decidono di fare arte per cambiare questo mondo". Schnabel, fra l'altro, è già intervenuto alla Mostra del Cinema veneziana nel 2010 con "Miral", film dedicato alla questione israelo-palestinese.
I perimetri di tempi e situazioni sfumano di fronte al primo piano delle grandi sollecitazioni civili ed artistico-culturali. Il buon Vincent è fra quelli che ci possono ancora dire qualcosa d'importante e "parlare attraverso lui - ha sottolineato Schnabel - è stato bello".