La mostra di Warhol da pochi giorni aperta a Roma, al complesso del Vittoriano dal 3 ottobre fino al 3 febbraio, sono esposte 170 opere, che ripercorrono la vita artistica di Andy Warhol (1928-1987) a novant’anni dalla sua nascita. Un allestimento suggestivo, “consumabile” anche in un paio di ore, che ben si adatta allo stile di Warhol con le insegne al neon a definire tematicamente questo percorso che, dopo un essenziale video sulla vita dell’artista, si articola in cinque tappe.

  • Icone: ossia figure e personaggi rappresentati di un’epoca. Volti, noti e ignoti, ma anche oggetti-simbolo rappresentativi dell’America, e della sua doppia faccia, dalla zuppa Campbell alla sedia elettrica.
  • Musica: a riprova degli stretti rapporti e collaborazioni di Warhol con il mondo musicale, in effetti la più popolare tra le arti.
  • Star system: a documentare i sui rapporti con il mondo della moda.
  • Disegni: troviamo i primi disegni di accessori, la falce e il martello, fiori meno “sintetici” del solito, fino ad arrivare ad altri volti più o meno noti.
  • Polaroid e acetati: non poteva mancare lo strumento più utilizzato, alla base dei suoi ritratti, ossia la macchina fotografica e nello specifico la Polaroid, “con un flash da 20 dollari faceva sembrare tutti 24enni” (dal DOC - "Andy Warhol - Factory man", Jean Michel Vecchiet, 2007)

Chi non fosse entusiasta del lavoro di Warhol dal profilo artistico può comunque considerarlo da un punto di vista socio-antropologico, non a caso “Warhol diventa in quegli anni il centro catalizzatore della cultura newyorchese” (comunicato stampa della mostra).

Anche i soggetti e i media che usa sono rappresentativi di un’epoca, della società in via di una trasformazione di massa non reversibile, una società dei consumi che è ancora attuale.

Più che una mostra un viaggio nella quotidianità: la pop art statunitense

Una passeggiata tra i prodotti culturali, le icone e le tendenze degli anni ’60,’70 e ’80, tramite il narratore visivo per eccellenza della popular art statunitense. Comune denominatore dell’Arte pop sono le dinamiche della vita moderna. La realtà urbana delle grandi metropoli è la sua base linguistica: la segnaletica, la pubblicità, i mass media e tutta l’iconografia della società dei consumi. "Non mi sono mai sentito imbarazzato nel chiedere a qualcuno, letteralmente, che cosa dovrei dipingere?

Perché il pop arriva dall'esterno" (“La cosa più bella di Firenze è il McDonald’s – aforismi mai scritti” di A. Warhol, a cura di M. Bianchi)

Warhol è forse il primo che spoglia esplicitamente l’artista della sua aurea chiedendo: “Perché la gente pensa sempre che gli artisti siano qualcosa di speciale? È solo un altro lavoro.” (da "La filosofia di Andy Warhol" di A.Warhol). Da bravo lavoratore, in quel mondo imprenditoriale che si andava sviluppando, aveva creato una vera e propria azienda: la Andy Wahrol Enterprises, con il suo famoso studio meglio conosciuto con il nome “The Factory”. Ovvero "la fabbrica", che produceva arte perché in fondo “Essere bravi negli affari è la forma d’arte più affascinante” (da “La Filosofia di Andy Warhol”, A.

Warhol).

La pop art di Warhol: tra soggetti comuni, prodotti e personaggi pubblici

Una società raccontata dai mass media, dalla pubblicità, dalle riviste, dalle canzoni e manipolata ancora da Warhol. Lui stesso si definì “uno specchio che riflette ciò che vede” (dal documentario "Andy Warhol - Factory man" ,Jean Michel Vecchiet,2007). Nella mostra di Andy Warhol a Roma si potranno vedere opere più e meno conosciute dell'artista.

Personaggi pubblici come Marilyn Monroe e Liz Taylor, Mao Tse-tung, Edward Kennedy e altri ancora, consegnati al grande pubblico dai mass media, non più come personaggi ma vere e proprie icone. Più spesso i suoi personaggi provengono dalle forme artistiche e di comunicazione più popolari e rappresentative della nuova società di massa: la musica, il cinema e la televisione che si occupa ormai di divulgare anche la politica.

Alla fine della prima “tappa” potrete vedere anche i volti (su t-shirt) di K. Haring e J.M. Basquiat, colleghi e amici di Warhol. Ad ogni modo troviamo anche personaggi comuni, sconosciuti, come nella serie “Ladies and gentelmen” (ritratti di drag queen di un nightclub newyorchese) e la serie “Cowboy and Indians”, basata sull’adattamento hollywoodiano della storia, ossia dal punto di vista della tradizione occidentale.

Oggetti comuni/prodotti presi dai supermercati che possono fare l’effetto di nature immobili (nature morte): i barattoli di zuppa Campbell e le bottiglie di acqua Perrier e della Coca Cola. Fanno parte del suo repertorio anche i soldi, la sedia elettrica, teschi, fiori dall’aspetto artificiale e altre immagini decisamente comuni e popolari come mucche e frutta.

Per apprezzare l’arte di Warhol non si può separarla dall’identità culturale che esprime e nella quale si genera.

Una tecnica semplice quanto efficace

Soggetti e oggetti noti, visti, rivisti, immagini consumate in così tante occasioni, quasi quotidianamente e che per questo rischiano di passare inosservate, per una sorta di assuefazione, ma con lui questo rischio è sventato. Manipolate da Warhol le immagini quotidiane acquistano di nuovo luce, riesce a consegnarle ancora una volta all’attenzione collettiva.

L’immagine viene isolata o affidata alla ripetizione seriale, svelando immediatamente l’artificio che la crea e rimandando a una produzione di massa, finanche alla catena di montaggio. L’arte popolare di Warhol attinge principalmente dalla fotografia.

Strumento più utilizzato alla base dei suoi ritratti.

Per questo la sua pittura anche è “meccanica” e si serve principalmente della serigrafia (tecnica di stampa su carta o tessuto). La forza espressiva del colore, usato in modo rigorosamente anti naturalistico, è data dall’inchiostro industriale, tipografico e fotografico. Più spesso usa colori molto vividi che non restano entro i confini e che hanno un effetto spersonalizzante. Oppure grandi pennellate che vanno a comporre uno sfondo variamente colorato sotto il disegno (o la stampa).