Nato nel 1977 a Cipro, figlio di padre greco e madre inglese, studente di Letteratura inglese a Cambridge e con un master in Sceneggiatura, Alex Michaelides, dopo un inizio di carriera come sceneggiatore, si butta sulla scrittura e sforna il suo thriller d’esordio “La paziente silenziosa”. 340 pagine, in testa alle classifiche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, edito in Italia Einaudi nel 2019, ci sono voluti ben quindici anni all’autore per arrivare a uno sviluppo soddisfacente della storia, una storia di cui la casa di produzione di Brad Pitt si è già aggiudicata i diritti.

L’aiuto per sbloccare lo scrittore in crisi? L’amica Uma Thurman, l’interprete di “Pulp Fiction”, che, durante una chiacchierata sulla trama che Alex stava sviluppando, ebbe una brillante idea.

La trama

La storia di partenza era quella di una giovane donna, Alicia, che, dopo aver sparato inspiegabilmente 5 colpi di pistola al marito, si chiude in un silenzio assoluto. Tace al processo, tace nell’ospedale psichiatrico in cui viene rinchiusa, nulla esce dalle sue labbra. Passano 6 anni e uno psicologo criminale, Theo Faber, decide di tentare di risolvere questo caso ormai archiviato e rimasto senza risposta: vuole entrare nella mente della paziente e cercare di aprire quelle labbra sigillate.

Un’idea ottima, specie per uno scrittore che aveva lavorato anche in un ospedale psichiatrico e che conosceva abbastanza un luogo simile per potervi svolgere un romanzo ma…come svilupparla? La Thurman suggerisce che Alicia sia una pittrice e che attraverso le sue opere possa permettere al lettore di entrare pian piano nella sua affascinante mente.

Un bel colpo per Michaelides che adesso ha gli strumenti per proseguire, praticamente riscrivere e terminare finalmente il suo thriller. Ed ecco aprirsi davanti ai nostri occhi una storia che lascerà col fiato sospeso il lettore fino all’ultima pagina.

Sullo sfondo Londra, questa si sviluppa alternando il racconto in prima persona dello psicologo e il diario di Alicia Berenson, la “paziente silenziosa”, scritto prima dell’omicidio del marito Gabriel, fotografo di moda, assente e probabilmente infedele, di cui la protagonista è profondamente innamorata.

Cirocondano i due protagonisti varie figure dell’ospedale psichiatrico che cercano di far desistere Theo dall’impossibile indagine e altre che appartengono al passato della donna, tra le quali un gallerista che custodisce gelosamente le ultime opere di Alicia, specialmente l’enigmatico autoritratto, “L’Alcesti”, il solo eseguito dopo l’omicidio: in questo la pittrice è nuda, i dettagli sono estremamente realistici, sui polsi due cicatrici, nelle mani un pennello da cui colano gocce di vernice rossa. Sono forse sangue? Sta dipingendo ma la tela è vuota, lo sguardo fisso verso di noi e le labbra socchiuse, mute come muta è la donna ad aver dipinto se stessa.

L’irrompere della mitologia greca nella storia con il mito di Admeto e Alcesti

È nel titolo dell’autoritratto dipinto dalla protagonista (o forse anche nello svilupparsi della storia?) che l’autore rivela la sua passione per la mitologia antica, quella delle sue origini greche, e lo fa attraverso la figura di Alcesti, eroina greca che decide di morire al posto dell’amato marito Admeto. Questi, punito da Artemide, riceve da Apollo la possibilità di salvarsi nel caso qualcuno scelga di sacrificarsi al posto suo e la fedele Alcesti è l’unica a proporsi e a morire avvelenandosi.

Giunge Eracle che, lottando contro la Morte stessa, riesce a riportare al marito Alcesti. Di nuovo in vita ma muta. Muta come la protagonista de “La paziente silenziosa”.

L’autore ci avvolge nelle sue spire fino alla fine proprio come Alicia trascina in un gioco terribile Theo. La mitologia rivive, il lettore rischia di perdersi nei labirinti della mente di questa donna silenziosa. Ne uscirà vivo o muto?