Il film di Tizza Covi e Rainer Frimmel Vera, presentato nei giorni d'esordio della 79^ Mostra del Cinema di Venezia, in concorso per la sezione Orizzonti, abbina intenti documentaristici autobiografici, tensione narrativa, cifre introspettive.
A raccontarsi in prima persona è Vera Gemma, figlia del grande Giuliano Gemma, atletico protagonista e animatore del Western italiano anni Sessanta e Settanta, attore impegnato anche in ruoli drammatici di primo piano in una carriera artistica che gli valse l'assegnazione di numerosi premi e la notorietà internazionale.
Per il successo dei suoi film in Giappone la Suzuki negli anni Ottanta produsse degli scooter con il suo nome.
Vera vorrebbe scrollarsi di dosso l'immagine preponderante di "figlia d'arte" per trovare identità ed autonomia dalla, seppur molto amata, figura paterna. Il film sviluppa così un itinerario umano e professionale in cui è la figlia, fra luci ed ombre, a muovere i propri passi dilatando con molta ironia una lente d'ingrandimento su amicizia, amore, gratitudine, condizioni sociali e stili di vita.
Una donna allo specchio
"La bellezza è sempre stata la cosa più importante nella mia famiglia, ingrassare era peggio che drogarsi".
E' una delle battute iniziali di Vera che è incline alle eccedenze, alle iperboli per ridefinire la misura e l'obiettività delle situazioni. Con l'immancabile cappello da cowboy si dilegua nei locali notturni di una Roma molto dorata, ma prende poi la direzione più impervia delle borgate, dove ti tolgono l'acqua a casa se non paghi l'affitto e dove la dimensione della sopravvivenza può divenire vorace, ruggente, rivolta solo alle necessità delle sue battaglie.
E' qui che Vera, a causa di un incidente stradale, conosce un bambino, il tenerissimo Manuel e suo padre e con loro intesse una relazione profonda. Il corto circuito fra bene e male non conosce, però, esclusione di colpi e Vera si accorgerà, anche in questa realtà, di essere stata uno strumento per gli altri.
Negli umori più riposti del film scorre una sorta di noncuranza per gli accadimenti, per gli eventuali torti, fallimenti o risorse defraudate, e non per goliardica superficialità ma per la capacità di rientro in una forza apicale, in una radice sotterranea, come quella del filo d'erba che puntualmente rispunta sull'asfalto.
Con Asia Argento
Il film è interpretato da Sebastian Dascalu, Annamaria Giancamerla, Daniel De Palma con la partecipazione di Asia Argento, altra figlia d'arte con alle spalle un cognome importante da dover bilanciare con la specificità della propria autoaffermazione e del proprio talento.
Nal film Vera e Asia si incontrano nel cimitero acattolico di Roma, dove sono sepolti scrittori ed artisti, davanti alla tomba del figlio di Goethe, l'unica che non ha un nome.
Il padre fece, infatti, incidere sulla lapide solo "Figlio di Goethe" tramandando così un ricordo non disgiungibile dalla sua celebrità . "Eppure - affermano Vera e Asia - questo figlio ha avuto un nome, una personalità, dei sogni che contraddistinguevano la sua unicità".
"Vera", fra l'inseguimento ossessivo di un ideale di perfezione estetica, la marcia delle esperienze e le soste dei sentimenti, cerca, soprattutto, di abitare se stessa in una sorta d'involucro isolante dalle bordate più dure della vita. Come spiega "Dedicato" di Loredana Bertè, testo che innerva musicalmente il film, sono il coraggio e l'accettazione di sè a far guardare al mondo con occhio disincantato nella chiave di volta di un perno sottilissimo, forse di un filamento d'infinito.