Nessuno vorrebbe pagare le imposte, fin qui nulla di nuovo. Ma cosa si cela dietro questo sentimento di odio e disprezzo verso questi tributi? Di solito essi vengono suddivisi in tre macro-categorie: imposte, Tasse e contributi.
Tra queste, le imposte ricoprono di gran lunga la posizione di testa tra i balzelli meno amati.
Le imposte, le più odiate
Come mai le imposte sono così avverse ai contribuenti?
Per provare a fare un po' di chiarezza, proviamo a dare una definizione di questo tributo tanto disprezzato: si tratta di un prelevamento coattivo effettuato dallo Stato per soddisfare i bisogni della collettività. Non fanno riferimento ad un determinato servizio richiesto dal cittadino (come avviene ad esempio per le tasse: basti pensare alla Tasi o alla Tari), ma vengono "imposte" al contribuente coercitivamente, solo perché membro della collettività. A questo punto, la motivazione legata a quest'avversità comincia ad essere più comprensibile e tangibile.
Tuttavia, la risposta alla "domanda totemica" continua ad essere astratta e distante.
Infatti, per fornire una spiegazione più concreta, è necessario identificare il ruolo che ricopre la collettività nella nostra società.
La privatizzazione della vita
M.Schulter e D.Lee hanno commentato la condizione dell'uomo contemporaneo come segue: "Non abbiamo privatizzato solo l'industria petrolifera, ma anche le nostre vite". Inoltre hanno aggiunto: "Indossiamo la nostra privacy come fosse una tuta pressurizzata".
Secondo i due studiosi, ormai siamo diventati dei sistemi autonomi, isolati, che non sono più in grado di comunicare tra loro. Dunque abbiamo avviato progressivamente un processo di "privatizzazione della vita", e con esso ci siamo rinchiusi nel nostro ecosistema. Di conseguenza, ormai tra noi e la collettività sembra esserci un abisso.
Non riusciamo più a guardare oltre noi stessi, ed i virtuosi ideali di aiuto fraterno sono morti ormai da tempo, sepolti tra le ceneri. La politica, a sua volta, nata per soddisfare i bisogni della collettività, è divenuta per noi, sistemi isolati, un qualcosa di estraneo, di sconosciuto e distante.
Le uniche occasioni in cui ci confrontiamo con i bisogni della comunità è durante la compilazione dell'F24. La collettività ha assunto ormai il ruolo di un peso immane di cui siamo costretti a farci carico.
Un sacrificio da sopportare: la collettività che non c'è
"Le loro rivendicazioni testimoniano il fatto che sono dei parassiti, mentre la mia pretesa di contribuire in modo meno oneroso alla cassa comune no".
Attraverso quest'acuta riflessione, Zygmunt Bauman, nel suo saggio "Di nuovo soli", percepisce in maniera semplice e geniale la teoria più popolare e nota sulla ripartizione del carico tributario: la teoria del sacrificio.
Le imposte, per soddisfare i bisogni della collettività, divengono un enorme sacrificio per noi. Non siamo più in grado di pensare a nient'altro che a noi stessi. Non riusciamo a vedere i vantaggi e i servizi di cui usufruiamo tramite il pagamento dei tributi, ma siamo bravissimi a valutare lo sforzo profuso per pagare. In questo modo "l'altro" viene considerato come una sorta di "peso" sulle nostre spalle del quale dobbiamo farci carico.
La 'social catena' che unisce
L'uomo aristotelico, destinato a vivere in comunità, ormai è morto.
Probabilmente l'essere umano odierno è destinato a vivere in un sistema isolato, imperturbabile e stoico, senza l'onere di far fronte a delle spese del quale non è direttamente responsabile.
"Siamo diventati scettici riguardo ai possibili benefici derivanti dall'agire insieme e dall'unire le forze, e ci siamo rassegnati all'idea che, qualunque cosa si voglia ottenere, si possa puntare principalmente sul proprio ingegno e sulla propria furbizia", riporta Bauman. Ormai troviamo unità solo quando siamo contro qualcosa: come mossi da un istinto primordiale, riusciamo ad unirci e ad innalzare un grido contro l'oppressione. In altre parole, riusciamo a trovare la nostra "social catena" e uno spirito di collettività soltanto quando ci battiamo contro un'infrastruttura, una tangenziale, un campo rom, un ente internazionale, una discarica, uno straniero.
"...e quell'orror che primo contro l'empia natura strinse i mortali in social catena..." (Giacomo Leopardi, La Ginestra).