A guardare la classifica stilata come tutti gli anni da Fortune e che riporta le prime 500 aziende del mondo per fatturato, non si può che rimanere impressionati. Nell'elenco la Cina è presente con ben 98 aziende, mentre ne aveva solo 10 nel 2000 e 46 nel 2010. Gli Stati Uniti hanno mostrato invece una tendenza opposta: dalle 179 aziende del 2000 e 139 del 2010, sono passati alle attuali 128.
Cosa si nasconde dietro questi numeri che lasciano presagire il sorpasso imminente del colosso asiatico?
In primo luogo le 12 aziende cinesi ai vertici della classifica sono tutte di proprietà statale e delle 98 in classifica solo 22 sono private.
Questo significa che le compagnie cinesi godono di un vantaggio competitivo sulle altre multinazionali loro concorrenti, derivante dal sostegno che ricevono dallo Stato. Inoltre l'enorme mercato interno ha consentito alle grandi aziende cinesi di prosperare anche in questi anni di crisi internazionale che ha ridotto fortemente le loro esportazioni. Un terzo elemento che fa presagire l'imminente sorpasso è la mole gigantesca di utili che le compagnie cinesi producono e che in buona parte vengono investiti facendo incetta di aziende e immobili sui mercati internazionali.
Siamo dunque alla rivincita delle economie rigidamente pianificate sul libero mercato?
La recente bolla immobiliare e il crollo delle borse in Cina dimostrano che governare l'economia di un paese, piccolo o grande che sia, è una sfida difficilissima e non ci sono ricette valide per tutte le stagioni.
Tutto dipenderà dalla bravura e dalla lungimiranza dei governanti cinesi nel gestire in modo ordinato la crisi finanziaria evitando che il rallentamento in atto non si trasformi in una catastrofica recessione dalle conseguenze inimmaginabili per tutti. Negli ultimi trent'anni il regime ha garantito crescita e occupazione togliendo i cinesi da una situazione di estrema povertà ma ora si tratta di capire se sarà in grado di venire incontro alle aspettative di libertà e progresso tipiche di un paese sviluppato.
I governi autoritari di solito non dimostrano di avere grandi doti di equilibrio quando si tratta di governare situazioni complicate e di cambiamento, quello cinese potrebbe fare ancora una volta eccezione.