Mai gennaio fu più negativo per le Borse mondiali: dopo ben quindici anni il prezzo del petrolio scende quasi in picchiata, mentre il Dragone pare oggi aver perso la sua peculiarità propositiva. E se su Milano il cielo è quantomai plumbeo, sopra Wall Street - già chiusa per il Martin Luther King Day - non si accenna a schiarite. Risalgono a venerdì i picchi del Dow Jones, che ha perso il 2,39% e dello S&P500, (-2,16%), quand'anche il Nasdaq cala del 2,74%.

Nel weekend si è inoltre registrata un'involata degna di nota dell’indice Vix, che aveva toccato livello 30 per poi diminuire fino ad assestarsi verso quota 25.

Tra le cause a monte del tracollo italiano, la "zavorra" delle banche. In caduta, oltre a Monte dei Paschi di Siena, Carige (-6,5%) e le popolari BPER (-7%), UBI (-6,9%), Banco (-6,3%), BPM (-5,2%). Non mancano all'appello Unicredit (-5%), Intesa e Mediobanca (entrambe al -4%). In controtendenza e rialzo intorno all’1% Moncler, Tenaris e Telecom, quest’ultima sulla scia dell'acquisto da parte della francese Vivendi.

Dall'Asia all'Oltremanica

Sul listino di Tokyo, il Nikkei 225 chiude in calo dell’1,12%. Scende anche Hong Kong, che ha ceduto l’1,01%. Chiusura in rialzo per Shanghai, con l’indice Composite che sale a 2.913,84 (+0,44%). La Borsa di Parigi apre stamani poco mossa. Il primo CAC 40 indica un -0,03% a 4.211 punti; la Borsa di Londra è invece in lieve calo. Il FTSE 100 si distingue per un -0,04% a 5.797 punti. A Francoforte, l'indice DAX 30 rileva un +0,14% a 9.558 punti.

Mercati mediorientali

Ancora timori per l’andamento del greggio che, alimentati ulteriormente dall’imminente arrivo sul mercato del petrolio iraniano, trascinano pesantemente in negativo Arabia Saudita (-5,4%, -20% da inizio anno), Qatar (-7,2%), Abu Dhabi (-4,2%) e Dubai (-4,6%).

Salvifica la piazza di Teheran, col suo +0,9%. In soldoni, l’Iran si prepara a inondare il mercato petrolifero con almeno mezzo milione di fusti aggiuntivi al giorno, il che porterà a un considerevole aumento dello squilibrio tra offerta abbondante e domanda debole, considerando l’elevato numero di scorte già esistenti. È pur vero che la notizia relativa al raggiungimento del minimo storico di 28 dollari al barile potrebbe rappresentare motivo di giubilo; ciò tuttavia non avverrà fintantoché la tassazione del greggio costituirà parte integrante delle entrate fiscali in Italia, il cui ammontare è direttamente legato al prezzo di mercato dello stesso petrolio.