Pericolo scampato? Per il momento sembra di sì: l’Argentina, infatti, è riuscita ad evitare un “martedì nero” vendendo titoli di Stato a breve termine - i cosiddetti “bond” - per un valore di 28 miliardi di euro. Una mossa, questa, che però non ha permesso di spezzare il circolo vizioso in cui sembra ruotare l’economia del Paese, un circolo vizioso che potrebbe essere infranto solo dall’intervento dell’Fmi, richiesto dal governo argentino.
L’asta
L’economia argentina in generale, e la sua moneta in particolare, non si trovano affatto libere dalla minaccia dello spettro della recessione: quest’ultimo, anzi, sembra aver acquisito una consistenza materiale preoccupante. L’inflazione, infatti, ha un’alta percentuale, e il peso (la valuta argentina) ha perso, nel cambio con il dollaro statunitense, il 18% del suo potere d’acquisto, sicché il cambio è arrivato al minimo di 25 pesos per 1 dollaro, poi risalito a 23.50. Una risalita compiuta, per la precisione, grazie al “piazzamento” di titoli di Stato a breve termine sul mercato americano: pare, infatti, che, sebbene non ve ne sia prova empirica, la telefonata al presidente Usa Donald Trump di Mauricio Macri, capo dello Stato e premier dell’Argentina, abbia sortito l’effetto sperato, poiché l’intervento trumpiano a Wall Street ha permesso l’acquisto non solo, appunto, di 28 miliardi di dollari in bond argentini, ma la disponibilità dei mercati a comprare titoli per altri 200 milioni.
“Ossigeno” all’economia del Paese che, ad ogni buon conto, potrebbe essersi già esaurito: stanotte, infatti, vi è stata la vendita di titoli di Stato argentini, questa volta bond a lungo termine, e le reazioni dei mercati possono essere aleatorie.
Il prestito dell’Fmi
L’asta dei titoli di Stato a breve termine e a lungo termine, comunque, non impedirà all’Argentina di ricorrere ad un prestito erogato dal Fondo Monetario Internazionale le cui trattative sulla somma, che i rumors stimano intorno ai 30 miliardi di dollari, inizieranno domani. È certo che però l’annuncio di un intervento dell’Fmi abbia suscitato le proteste degli argentini, scesi in piazza a manifestare contro la scelta del governo e contro l’istituzione guidata da Christine Lagarde.
L’annuncio, in altre parole, ha soffiato su braci mai del tutto spente: sebbene siano passati 17 anni dalle violente manifestazioni nelle strade di Buenos Aires, che provocarono anche feriti e morti, in seguito alle riforme di risanamento del debito pubblico, le quali ridussero sì drasticamente l’inflazione ma provocarono un forte aumento del tasso di disoccupazione e il crollo del potere d’acquisto delle famiglie, “ricette” dietro le quali gli argentini videro e quindi incolparono il Fondo Monetario Internazionale, non si è affatto dimenticata la crisi economica del 2001, il fatto che essa condusse l’Argentina al default e, forse, neppure l'ammissione susseguente dello stesso Fmi, che rivelò come avesse insistito con il governo argentino perché mantenesse stabile il cambio peso/dollaro, richiesta che aggravò la crisi economica del Paese. Domani, dunque, si conoscerà di più sulle trattative e si saprà qualcosa di più sul prosieguo o meno delle proteste nelle strade dell’Argentina.