Se i mercati finanziari possono essere pensati attraverso un’immagine come un vasto oceano solcato da molti vascelli - taluni più grandi e robusti, altri più piccoli e fragili -, allora si può dire che su questo oceano, ad impensierire non poco i comandanti di quelle navi, incombano, sebbene ancora all'orizzonte, nubi nere e allarmanti, promesse di potenziali tempeste. Fuor di metafora, gli analisti dei mercati finanziari attendono a breve la comunicazione da parte di Mario Draghi della fine, a dicembre, del Quantitative Easing (Qe) nell’Unione europea.
La materia e la forma dello strumento
Ma che cos’è il 'Quantitative Easing'? Ancora con un’immagine, lo si può definire come una sorta di ‘paracadute’ delle economie europee, quindi anche di quella italiana. Si tratta di uno strumento finanziario che permette l’acquisto dei titoli dei vari Stati dell’Unione da parte della Bce, un’agevolazione, appunto, che garantisce a quei Paesi la possibilità di finanziare il debito pubblico. Grazie al Qe, in particolare, l’Italia dal 2011 ha potuto beneficiare di un contenimento dei tassi di interesse sulle sue obbligazioni decennali (btp) - oggi al 4% - nonostante il debito pubblico sia aumentato - attualmente è del 132% rispetto al P.i.l.: prima del Quantitative Easing era del 105%, ma gli interessi sui suoi decennali erano al 6,1%.
Il pericolo dello spread
Sorge dunque una domanda: che cosa accadrà all’economia italiana da dicembre? Quale impatto avrà sui conti pubblici lo ‘strappo’ del paracadute Quantitative Easing? L’anno prossimo il ministero dell’Economia e delle Finanze italiano porrà in vendita titoli di Stato per un valore di 380 miliardi di euro.
Se Eurotower acquisterà le nuove emissioni a medio e a lungo termine per una porzione del 9,5% - ‘investendo’, per così dire, dai 110 miliardi del 2017 ai 20 del 2019 -, saranno allora i privati a dover comprare in quota maggiore rispetto al passato le emissioni a medio e a lungo termine italiane - in particolare, per un ammontare che passa da 165 miliardi a 201.
Tuttavia, un mercato privo di un ruolo importante come quello giocato sinora dalla Banca centrale europea corre il rischio di essere esposto in futuro ad un pericolo, che lo spread sui titoli di alcuni Paesi dell’Ue finanziariamente sotto la stretta osservazione delle istituzioni comunitarie (ad esempio l’Italia) aumenti eccessivamente, scoraggiando alcuni investitori - i quali dunque non acquisterebbero le emissioni di tali Stati nel timore di perdere il capitale, poiché dubbiosi della solidità finanziaria delle economie di quelli. Invece, per coloro che decidessero di investire il ‘conto’ corre il rischio di essere ‘salato’: quanto più lo spread rispetto ai decennali tedeschi aumenta, tanto più cresce l’interesse pagato agli acquirenti dei titoli di Stato. Con tutti i contraccolpi sul debito pubblico che si possono immaginare.