L’APE ormai è una nuova misura del nostro mondo previdenziale. Dal 2017, oltre che alle classiche misure come pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi di contributi e pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi, i lavoratori potranno optare per l’Anticipo Pensionistico. Il provvedimento è fatto e dalle ipotesi delle settimane passate, adesso si può valutarne bene il funzionamento e la convenienza a sfruttare l’opzione.

Non conviene a tutti, i tagli sono pesanti

Ricapitolando, l’APE è la pensione erogata a soggetti che si trovano a pochi anni dalla pensione di vecchiaia, cioè che hanno 63 anni, con almeno 20 anni di contributi versati. La pensione è erogata in anticipo massimo di 3 anni e 7 mesi rispetto ai 66 anni e 7 mesi previsti oggi per la vecchiaia. Negli oltre 3 anni e mezzo di anticipo massimo, la pensione sarà sotto forma di prestito bancario. L’INPS pagherà le Pensioni ma finanziandole con soldi di una banca che al termine degli anni di anticipo li vorrà indietro, naturalmente con interessi e spese varie.

I lavoratori quindi, una volta finito l’anticipo ed una volta raggiunta l’età necessaria per la pensione, dovranno sobbarcarsi per 20 anni il carico delle rate mensili di questo vero e proprio finanziamento. Nel verbale sottoscritto ieri, Governo e sindacati si sono dimostrati d’accordo nel salvaguardare alcune categorie come i disoccupati, i disabili e quelli con particolari carichi di famiglia, categorie queste alle quali il prestito sarà restituito alla banca dallo Stato. A vederla così, l'APE converrà o giustamente, ai deboli oppure ai ricchi a cui non interessa subire un taglio di assegno. Il ceto medio è evidentemente ed irreparabilmente penalizzato.

Simulazioni che fanno paura

Nannicini, intervenendo stamattina in radio, ha dichiarato che le penalizzazioni saranno calmierate a meno del 6% annuo.

Sembra poco, ma si tratta pur sempre di rinunciare ad un buon 20% di pensione per chi sceglie l’uscita col massimo anticipo. L’avvio dell’APE ricordiamolo è sperimentale, ed essendo i 6 miliardi che il Governo ha stanziato per le pensioni, a carattere triennale, possiamo dire che nel triennio 2017-2019, i nati tra il 1952 ed il 1954 testeranno sulla loro pelle l’APE e le sue penalità. Siamo di fronte ad una classica operazione di finanziamento bancario, quindi con soldi in prestito che costano. Il costo dell’APE è dato da 4 fattori, due bancari e due previdenziali:

  • gli interessi bancari
  • gli oneri tra cui le assicurazioni
  • i minori anni di contributi versati lasciando il lavoro in anticipo
  • i coefficienti di trasformazione dei contributi

Dell’ultimo punto si è parlato poco ma è importante perché lasciare il lavoro prima, in base alla stima di vita, significa percepire la pensione per più anni (in media) e quindi l’importo della pensione si spalma in più anni e di conseguenza ha importi minori.

L’insieme di questi fattori rischiano di rendere pensioni che già non era possibile considerare ricche, vicine alla soglia di povertà, appiattendole verso quelle sociali per esempio, quelle per chi ha versato pochi o addirittura zero contributi. Un esempio chiarisce meglio il concetto. Un lavoratore che nel gennaio 2017 compirà 63 anni potrà lasciare il lavoro o aspettare  agosto del 2020 quando per ipotesi avrebbe preso, continuando a lavorare, la sua pensione lorda di € 1.600 al mese (€ 1.300 nette). Percepirla oggi significa, oltre che indebitarsi, prendere € 1.140 al posto di € 1.300 al mese. Questo per via dei tre anni di contributi versati in meno e per il coefficiente di cui parlavamo prima.

Da agosto 2020, quando avrebbe dovuto percepire normalmente la sua pensione, inizierà a fare i conti con la restituzione della rata. A fronte di una uscita anticipata di 3 anni, il lavoratore percepirà € 811 al mese, per 20 anni. Ricordate da dove si era partiti? Da € 1.300 netti al mese, la pensione scende ad € 811, ed in definitiva al lavoratore, l’operazione anticipo, restando vivo almeno per i 20 anni di prestito, costerà oltre i 66mila euro.