Dopo oltre 4 mesi di riunioni, incontri e tavoli, ieri sera, Governo e sindacati hanno trovato l’accordo sul pacchetto Pensioni da inserire nella Legge di Bilancio 2017. Forse chiamarlo accordo è esagerato anche perché, come dichiarato dai sindacati, si è firmato solo un verbale di 5 cartelle che altro non è che il programma previdenziale del Governo, la cornice del provvedimento con ancora alcune cose da chiarire circa i contenuti. Fino alla Legge di Bilancio da presentare per fine ottobre, come detto anche da Renzi, si potrà ancora intervenire su qualcosa, soprattutto sulla portata degli interventi.

La cosa certa resta sempre l’APE, l’anticipo pensionistico a partire dai 63 anni di età.

Tre possibilità di anticipo

Dal 2017 il mondo del lavoro e delle pensioni diventerà flessibile, cioè a molti lavoratori sarà data facoltà di lasciare il lavoro a propria scelta, tra i 63 ed i 66 anni e 7 mesi di età. Quasi 4 anni di anticipo di pensione potrebbero confondere i meno attenti perché sembra uno dei punti focali della proposta di Damiano, quella dell’ormai superato DDL 857. Naturalmente non è così, perché la risposta del Governo alle esigenze di rendere flessibile il lasciare il lavoro è l’APE, un vero e proprio prestito bancario. L’APE prevede tre vie di uscita, o meglio esistono tre tipologie diverse di situazioni con le quali si può chiedere l’anticipo.

L’APE volontaria, quella Social e quella aziendale. La prima è quella più vicina alla definizione di flessibilità, cioè la scelta totalmente in mano al lavoratore che calcolando bene tagli, rata e penalizzazioni, può decidere autonomamente di lasciare il lavoro. In questo caso però, lo scotto in termine di riduzione di assegno è totalmente a carico del lavoratore.

Per coloro che sono in situazioni di disagio, reddituale, di famiglia o fisico (invalidi), si potrà richiedere l'APE Social, con l’onere della restituzione del prestito a carico dello Stato, quindi di fatto a costo zero o quasi. Infine c’è l’APE aziendale, uno strumento che sarà concesso alle aziende che, o per crisi aziendale o semplicemente per rinnovare il personale, potranno collocare a riposo i dipendenti.

Una parte dell'onere dell'anticipo graverà sulle aziende e renderà meno pesante il peso dell'anticipo ai lavoratori.

Tutti i tagli di assegno a cui saranno soggetti i lavoratori

In tutte e tre le vie, come riporta l’edizione odierna del quotidiano “il Sole24Ore”, qualcosa i pensionati ci rimetteranno. In un finanziamento bancario si deve fare i conti sempre con il montante del debito, gli interessi e gli oneri. Tutto ciò che viene percepito dalla data di anticipo e quindi di uscita dal lavoro e la data di maturazione della pensione vera e propria (nell’anticipo massimo dai 63 anni ai 66 e 7 mesi), sarà il montante del debito. Il prestito poi sarà gravato di interessi che si può ipotizzare, avranno un tasso del 3%.

Infine gli oneri delle coperture assicurative per il rischio premorienza che dovrebbe essere intorno al 30% del valore del prestito.

Oltre ai costi di quella che a tutti gli effetti sarà un’operazione bancaria, ci sono quelli previdenziali. Innanzi tutto la pensione sarà inferiore a quella che in teoria sarebbe stata percepita a contributi pieni, perché sembra che si potrà richiedere solo il 95% della pensione. Inoltre ci sarà da fare i conti con i tre anni e 7 mesi di contributi in meno versati. Lasciare in anticipo il lavoro significa non versare più contributi e questo graverà sugli assegni futuri anche per i beneficiari dell’APE Social. Per quella aziendale invece questi contributi mancanti dovrebbe continuare a versarli l’azienda.

In definitiva, nell’APE volontaria, tutto il peso sul lavoratore, in quella aziendale oneri contributivi a carico del datore di lavoro e rata a carico del pensionato, in quella Social, rata a carico dello Stato e oneri previdenziali a carico del lavoratore. Come confermato da Renzi, la flessibilità sarà una possibilità, ma qualcosa bisognerà lasciare sul campo.