L’appuntamento è fissato per il 13 marzo, questo quanto scaturito dall’ultimo incontro tra Governo e sindacati in materia previdenziale. Con qualche giorno di ritardo rispetto al 2 marzo (scadenza dei 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio), i decreti attuativi su APE e Quota 41 saranno emanati. Solo allora si avrà il quadro completo delle due misure e si farà chiarezza su tutti i dubbi che accompagnano la loro partenza del 1° maggio.
Precoci
Quota 41 è la pensione anticipata per lavoratori che hanno iniziato a lavorare molto giovani, nello specifico, coloro che hanno almeno un anno di contributi versati prima dei 19 anni. Dal 1° maggio, tutti i lavoratori di questo genere, che possono vantare 41 anni di contribuiti, potranno andare in pensione senza attendere i 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) per la pensione anticipata oggi. Oltre al requisito strettamente contributivo, per poter centrare la pensione in anticipo, bisognerà anche essere, in alternativa:
- disoccupati che da tre mesi non hanno più ammortizzatori sociali
- invalidi con almeno il 74% di invalidità accertata
- soggetti con invalidi a carico, sempre con minimo il 74% di disabilità
- soggetti impegnati in attività gravose
Oltre a questi requisiti, per l’ultima categoria di beneficiari, sarà necessario aver svolto le attività logoranti negli ultimi 6 anni e senza interruzioni.
Su questo punto si stanno battendo i sindacati, chiedendo che venga tolto questo paletto che rende difficile centrare la misura per molti lavoratori come gli edili. Inoltre, dall’ultimo incontro è uscita la richiesta delle parti sociali e la volontà del Governo, di ampliare la platea di lavoratori da considerare come impegnati in attività gravose. I decreti di attuazione saranno chiari da questo punto di vista, con la definizione gravoso che sarà collegata alla mansione del lavoratore piuttosto che al settore dell’Azienda per cui presta servizio.
APE
L’APE è la misura sulla quale i dubbi sono ancora molti, anche perché dal punto di vista tecnico è la novità più particolare. L’APE volontaria, quella che i lavoratori potranno liberamente scegliere, senza loro particolari esigenze, a partire dai 63 con 20 di contributi, altro non è che un finanziamento bancario sotto forma di pensione.
Dai 63 anni ai 66 anni e 7 mesi, si riceverà una pensione per 12 mesi all’anno, ma finanziata dalle banche. Al termine del prestito, con la vera e propria pensione maturata, i lavoratori dovranno restituire quanto preso negli anni di anticipo, con interessi e spese varie. Proprio sugli oneri accessori al prestito, il Governo è chiamato a rendere pubblici i dati degli interessi e delle spese assicurative. Dati che oggi sembrano vertere sul 29% del capitale erogato (la pensione) per le spese assicurative e del 4,5/5% per anno di anticipo, alla voce interessi. Bisogna attendere i decreti per vedere confermate queste percentuali, anche se sembra che la convenzione con ANIA ed ABI, cioè con le associazioni di assicuratori e banche, non è ancora stata definita.
I sindacati contestano il ruolo troppo importante di questi due soggetti che si frapporranno tra pensionati ed INPS.
Per l’APE sociale, che è quella destinata alle categorie di “disagiati” di cui parlavamo nel capitolo precedente come possibili fruitori di quota 41, siamo ai dettagli. Il prestito saldato a loro nome da parte dello Stato è assodato, ma resta da verificare se si può scendere di un anno, passando dai 36 ai 35 anni di contributi, per i lavori gravosi. Inoltre, va verificato il paletto della continuità negli ultimi 6 anni e l’inserimento di una franchigia di 12 mesi per aiutare chi non ha lavori stabili per tutto l’anno. Altro nodo da sciogliere poi, appare quello dei contributi figurativi e delle carriere discontinue.
Sembra che si pensi di rendere il cumulo gratuito ed i contributi figurativi, validi anche per raggiungere i requisiti contributi di APE e quota 41, alla stregua della classiche Pensioni anticipate o di vecchiaia.