La crisi economica è senza dubbio la prima causa dell’aumento esponenziale del lavoro nero in Italia e soprattutto nel settore del lavoro domestico. Le famiglie in molti casi non possono permettersi di pagare ed assumere regolarmente le badanti per via degli alti costi da sopportare come retribuzione e contribuzione da versare. Le pensioni da sole e spesso vicine alla soglia di povertà, nella stragrande maggioranza dei casi non bastano per pagare regolarmente una badante.

Inoltre le regole in materia lavoro che oggi sono vigenti e che provengono dal Jobs Act di Renzi hanno completato l’opera. Proprio per questo tra i cavalli di battaglia e forse tra gli argomenti più validi che hanno decretato il successo di Lega e Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni politiche c’è proprio l’abolizione del Jobs Act. Crisi, problematiche economiche e difficoltà varie però non sono giustificazioni valide affinché diventi accettabile far lavorare in nero una badante piuttosto che una colf. Infatti sono molteplici i rischi che si corrono quando si decide di far lavorare in nero un lavoratore e sono tante le armi in mano al dipendente per ottenere i suoi diritti.

Le regole generali

La badante deve essere assunta regolarmente e l’obbligo di questo adempimento è totalmente in capo al datore di lavoro. La mancata denuncia all’Inps dell’assunzione rende responsabile di utilizzo del lavoro in nero il datore di lavoro. Le due problematiche che portano alle sanzioni che la legge prevede sono la mancata comunicazione dell’assunzione e l’omessa iscrizione all’Inps. Con l’iscrizione del rapporto di lavoro all’Inps, pratica oggi agevolata dal cassetto del lavoro domestico aperto in rete e sul sito ufficiale dell’Inps, le due problematiche vengono risolte immediatamente senza ulteriori obblighi per il datore di lavoro nei confronti dell’Ufficio Territoriale del Lavoro.

Le sanzioni

La prima multa per famiglie che detengono irregolarmente una badante o una colf è tra le 200 e le 500 euro e copre la violazione di omessa o ritardata comunicazione di assunzione. La sanzione relativa al reato del lavoro in nero poi è molto più pesante con cifre comprese tra 1.500 e 12.000 euro e scatta per la mancata iscrizione all’Inps. Sempre nei confronti dello Stato, il datore di lavoro è altresì responsabile per l’omesso pagamento dei contributi previdenziali. Alle sanzioni si aggiunge quello che il datore di lavoro ha evitato di versare, cioè i contributi previdenziali che poi saranno dovuti in misura maggiorata. Minimo 3.000 euro di maggiorazione è quanto la normativa vigente prevede per i contributi non versasti all’Inps, con un tasso di interessi che va dal 30 al 60% calcolato su base annuale e indipendente dai mesi di lavoro in nero sfruttati.

In pratica anche un solo giorno di lavoro nero utilizzato può portare alla sanzione amministrativa di 3.000 euro.

Arretrati al lavoratore

Il lavoratore in nero inoltre, molto spesso viene pagato senza rilascio di busta paga, cioè in contanti e basta. Immaginare uno stipendio erogato, i nero ma in regola con i minimi retributivi che dal gennaio sono stati aggiornati sul CCNL di categoria è esercizio azzardato. La differenza tra quello che il datore di lavoro ha pagato al lavoratore rispetto a quanto prevede il contratto nazionale da diritto al lavoratore di richiedere gli arretrati per ogni mese di lavoro. Questo in aggiunta agli altri diritti loro spettanti come ferie, riposi, permessi, straordinari e così via.

Ancora maggiori i rischi che si corrono a pagare la lavoratrice senza emettere ricevuta o busta paga perché una pratica simile collegata al lavoro nero potrebbe dare diritto al lavoratore a chiedere lo stipendio intero per ogni mese lavorativo non regolarizzato da contratto.