Su La7 ancora discussioni sulla quota 100 con due interessanti servizi durante la trasmissione" di Martedi". Dopo le polemiche che hanno accompagnato il varo di quota 100 da parte del governo giallo-verde, la misura, nonostante ormai sia ben definita nel decreto, non smette di far parlare di se. Iniziano le analisi e le stime sulla sua convenienza e sulle problematiche che la misura ha in base a come è stata disegnata dall’attuale esecutivo.

Assegni ridotti perché inevitabilmente, lasciare prima il lavoro ha come conseguenza una riduzione dell’importo della pensione e la durata “solo” triennale del provvedimento, sono considerati da molti addetti ai lavoro, autentici paradossi della quota 100. Su LA7, durante la trasmissione condotta da Giovanni Floris, un servizio dimostra come due lavoratori nati lo stesso anno, ma con una leggera differenza di carriera lavorativa, potrebbero andare in pensione a distanza di 4 anni l’uno dall’altro.

Età e contributi minimi sono paletti determinanti

La quota 100 come ormai tutti sapranno, si può utilizzare per lasciare anticipatamente il lavoro a condizione di avere una età anagrafica pari o superiore a 62 anni ed un montante contributivo di almeno 38 anni di versamenti previdenziali.

Ciò significa che un soggetto sotto i 62 anni di età, anche se ha 38 o più anni di contributi, non potrà lasciare il lavoro con questa misura, a meno che non compia i 62 anni entro dicembre 2021, l’ultimo anno in cui la misura sarà in vigore.

Lo stesso discorso può essere esteso a chi ha già 62 o più anni di età, ma ha meno di 35 anni di contributi. Per costui, le porte della quota 100 non si apriranno mai, essendo uno dei soggetti esclusi dalla misura per via dei vincoli stringenti per quanto concerne età e lavoro coperto da contribuzione. Nel servizio della trasmissione di ieri sera, per spiegare meglio l’anomalia di una misura previdenziale a scadenza, si prendono ad esempio due lavoratori nati nel 1958, cioè con 61 anni compiuti nel 2019.

Entrambi raggiungeranno l’età minima per quota 100 nel 2021. Il primo ha iniziato a lavorare nel 1983, mentre il secondo nel 1984. Per via di questo fattore, il primo nel 2021 raggiungerà anche la quota dei contributi utili a quota 100, mentre il secondo no, fermandosi a 37. Il primo lavoratore potrà pertanto entrare in pensione nel 2021, con il nuovo canale di uscita a 63 anni, mentre il secondo, dovrà inevitabilmente attendere i 67 anni di età per la pensione di vecchiaia.

Gli assegni ridotti

Anche se su quota 100 non esistono penalizzazioni a monte, cioè inserite nel pacchetto normativo della misura, l’assegno che si andrà a percepire sarà inevitabilmente inferiore. Infatti ci sarebbe da fare i conti con diversi anni in meno di contributi, variabili in base a quanti anni prima si riesce a rientrare in quota 100.

Va ricordato, che secondo i dati, un anno di contributi vale almeno il 5% di pensione, soprattutto perché, come spiega bene il quotidiano “Il Sole 24 Ore”, ma anche come spiegato da un altro servizio durante la stessa trasmissione di Floris, gli ultimi anni di carriera sono quelli meglio retribuiti. Uscire prima significa anche subire una trasformazione dei contributi in pensione, con coefficienti più penalizzanti. In pratica, in base ai numeri, un lavoratore con 30.000 euro di stipendio lordo annuo, incasserebbe una pensione più bassa di circa 400 euro uscendo con quota 100, passando da 1.760 euro circa al mese a 1.370 euro.