Marcello Darbo, ferrarese (1957), laurea in Scienze Politiche a Bologna, ha pubblicato alcuni testi, tra essi, "Il bullismo nella scuola italiana. Prevenzione, contrasto e prima teoria organica sul fenomeno", L’Harmattan Italia, 2012, una delle prime analisi sulla piaga del bullismo in Italia. Come pittore si segnalano rilevanti rassegne collettive e mostre personali in Italia e all'estero.
Tra esse: in Germania (Memmingen, ospite dell' Associazione Italo-Tedesca), per la Biennale Giovani internazionale di Kualalampur e a Kaufbeuren; la rassegna Roma /New York, "EUROPA-AMERICA '360' E-VENTI". In Italia a Firenze e Cesano Maderno (Milano); a Ferrara presso Il Centro Attività Visive del celebre Palazzo dei Diamanti, l'Istituto di Cultura "Casa Cini", a cura di Don Franco Patruno e la Casa del Boia. Ha risposto alle nostre domande in un'intervista esclusiva.
Tra sociologia e poetica controcorrenti
Lei è pittore e sociologo, noto a Ferrara e in Italia, una duplice matrice, come le sintetizzi?
Con un lavoro da animale da soma.
Il peso sociologico è stato ricco di scoperte nel mondo della scuola, nel campo del bullismo, su cui ho pubblicato un libro. Naturalmente ignorato, perché in questa Italia di caste e castine, di caste meretrici, o fai parte del giro accademico, oppure non esisti. Il peso pittorico è stato lieve e faticosissimo da portare. Dipingo la notte, figure che cercano la loro esistenza nello sguardo dello spettatore, che io elevo a giudice: pubblico si nasce, artisti si diventa e critici si fa del danno. Nel Rinascimento, il periodo più prolifico della storia dell'arte, il critico non esisteva. Oggi pretendono nella loro follia di dire al pittore cosa dipingere e al pubblico cosa guardare. Li brucerei in un mazzo, sono vere streghe maligne.
Più nello specifico, uno zoom sul suo percorso sociologico?
Come dicevo, dopo essermi specializzato nella gestione di gruppo, mi sono immerso nella scuola per sconfiggere il disagio giovanile maggiore, quello derivante dal bullismo. Poi mi sono interessato alla teoria delle stringhe, scoprendo un modo di allacciare le scarpe che farebbe risparmiare in 80 anni circa 100 giorni di vita, non male. Penso che mi candiderò al Nobel per lo sforzo fisico.
L'arte con la A maiuscola contro le mistificazioni
L'arte come politica o immaginario?
Un artista vero anche se non vuole dipinge sempre qualcosa di attinente al periodo storico e politico a cui appartiene. Quando ho scoperto che c'è un miliardo di persone a rischio di fame, ho intitolato una mostra "Dove è pietà", dove le mie figure dovevano meritarsi di essere intraviste dallo sguardo dello spettatore, mi vergognavo di dipingere l'uomo, mentre mi chiedevo quanto avevano "mangiato" le organizzazioni come la FAO, che hanno identificato la loro fame con quella del mondo... Oppure ho intitolato un ciclo pittorico "Cieli duri", per ridare dignità all'espressione "cielo duro", abusata da individui usciti si da un fallo, ma rimasti lì appena appena fuori... In ogni caso, mentre il mondo soffre, un artista non può fare dei fiorellini o degli specchi in cui ritrarre se stesso, come Kounellis che ha proiettato venti scritte sul muro indicanti altrettante statue inesistenti, "Imperatore a cavallo" di fianco al vuoto.
Qui siamo di fronte a qualcuno che prende in giro la volgare massa di ignoranti, come ci vedono, con l'avallo dei critici mediocri che ci ritroviamo. Un cane che abbaia su una colonna, rispetto a Kounellis, è un Gigante contemporaneo.