Da Ferrara, la Carmelina edizioni di Federico Felloni ha dato alle stampe “L'essere e il nulla nell'era della tecnica” di Angelo Giubileo, filosofo e giornalista (vice direttore per il sud per il periodico di Firenze, Pensa Libero).

Trattasi di una analisi originale sulla società tecnologica attuale e futuribile con sguardi complessi che vengono anche dal futuro anteriore di certi precursori antichi come Parmenide, alla luce anche delle analisi degli stessi Santillana, Heidegger e Severino. Spesso in Italia si denuncia uno scarto storico, per così dire, tra approccio scientifico e umanistico.

In questa analisi, ci pare, certa sintesi appare invece assai intrigante e indicativa di orizzonti conoscitivi e significativi, anche insospettabili. Ecco una nostra intervista esclusiva per Blasting News all'autore dell'opera.

La tecnologia come Idea che viene da lontano?

D – Giubileo, il tuo nuovo libro, evoca le analisi sulla società tecnologica degli stessi Benjamin e in generale la Scuola di Adorno che fu, ma in chiave chiaramente anti-ideologica. Un tuo commento?

R – Infatti, evoca tali analisi come tu dici, ma non le cita nemmeno. Nel suo saggio originale del 1961 (dal titolo in italiano Le origini del pensiero scientifico), lo storico Giorgio de Santillana conclude: ‘una mente sgombra da timore è il bene supremo’.

Probabilmente non sarebbero queste le prime parole a venire in mente nel pensare ai fisici di oggigiorno. L’analisi dello storico attraversa quasi 3.000 anni e approda al pensiero dei fisici presocratici della tradizione. L’idealismo, che ha ispirato epoche della ricerca a noi più recenti, è invece parte di un unico processo postsocratico, degenerativo, che ancora nell’attualità conduce, secondo de Santillana, a una o altra delle “tre forme di religione scientifica”: epicureismo, stoicismo, neoplatonismo.

Occorrerebbe invece ritornare ai fondamenti e quindi alle origini del pensiero scientifico dei presocratici.

Tra presocratici e postumani

D – Giubileo, spicca, ci sembra, anche un certo focus che viene da un lato persino da Parmenide e che dall’altro accoglie il divenire postumano del nostro tempo, un chiarimento rapido a riguardo?

R – Non c’è dubbio che sia stato Emanuele Severino a parlare più di recente di un “Ritorno a Parmenide”. E tuttavia, egli lo fa mediante un’ottica che resta all’interno di una prospettiva ontologica dell’essere. E invece, contrariamente alla Tradizione, sia Platone (come testimonia Plutarco), e così anche Aristotele, considerano il risultato della ricerca ontologica parmenidea come definitivo. Così che, compito della ricerca è la possibilità di raggiungere nuovi traguardi o approdi in ordine al processo fisico (possiamo in chiave moderna definirlo “evoluzionistico”) dell’intera natura o materia dell’essere e di “ciò che” (secondo il linguaggio del detto originario di Anassimandro) chiamiamo “umano”. E non c’è dubbio alcuno che, nell’attualità, le scoperte della fisica quantistica aprano a un nuovo, oltre l’antropocene, possibile scenario, che chiamiamo appunto postumano.