Vediamo un po’ cosa ne pensa il popolo del web. Inizia così, molto spesso, la nostra visita in rete, alla ricerca di un’opinione su una persona, un fatto o un prodotto. Incuriosisce sapere le esperienze altrui e tranquillizza parecchio incrociare scenari di concordia: la tal cosa va bene, pensiamo, o così, almeno, ci induce a ritenere l’evidenza statistica che in un certo modo la pensano nove individui su dieci.
E proprio questo, fra l'altro, vorrebbe essere il web, cioè un luogo di espressione di opinioni libere, sincere e disinteressate, da consultare per giusta esigenza di confronto, mettendo alla prova le proprie convinzioni per decidere se confermarle oppure, ove necessario, cambiarle.
Opinione libera, ma non troppo
Non è proprio così, però, e lo insegna molto bene la vicenda di Andrés Sepulveda. Colombiano di patria, capelli cortissimi su un volto tutto sommato comune, occhiali. Professione: hacker delle opinioni. Se l’è inventato lui, questo mestiere, quando ha capito che la lettura dei pareri sul web era soprattutto formazione di un’opinione personale e che quell’opinione era anche intenzione prima, espressione effettiva, poi, di voto.
Sepulveda ha capito di poter intervenire nel meccanismo di formazione dell’opinione, lo ha trasformato in un vero e proprio servizio a pagamento e si è messo sul mercato. La sua attività consisteva nel, parole sue, “fare una guerra sporca e psicologica su internet”, diffondendo pareri lusinghieri su specifici personaggi politici e pareri negativi, a volte supportati da dicerie inventate di sana pianta, su altri. Il risultato era una vera e propria campagna elettorale combattuta con armi non convenzionali, in maniera del tutto indipendente dai contenuti reali, al solo scopo di convincere altre persone della validità di una specifica opinione.
Dieci anni di carcere
Pare che ai servizi di Sepulveda abbiano fatto ricorso l’attuale capo di Stato messicano Enrique Pena Nieto e il consulente politico venezuelano Juan Rosé Rendon, i quali hanno comunque affermato di non avere mai avuto a che fare con lui, sottolineando di non avergli mai dato neppure un dollaro.
E dire che, per usufruire dei servizi di Sepulveda, di dollari ce ne volevano parecchi, se sono vere le tariffe da lui stesso rivelate, comprese fra i 12 e i 20 mila dollari al mese. Ora, però, Sepulveda è caduto vittima di un errore, diffondendo dati riservati (i riferimenti di alcuni guerriglieri delle Farc, ad esempio) e finendo quindi con l’essere accusato di spionaggio. Le autorità colombiane lo hanno arrestato e, in seguito, condannato a dieci anni di carcere. Il pirata informatico della politica è al sicuro in gattabuia, quindi, perciò viene da pensare che, d’ora in avanti, l’America Latina non debba più temere per l’inquinamento della propria libera opinione. In alternativa, si potrebbe pensare che, adesso, ci sia un vuoto di mercato da riempire. Questione di opinioni.