Ogni epoca èsoggetta ad alcuni interrogativi chene riassumono levicende ene lascianoapparire, in controluce, gli sviluppi futuri. Credo susciti poche discussioni il fatto chele domande della nostra epoca chiamino in causa la tecnica e che uno dei possibili quesitici solleciti, più o meno, in questi termini:siamo certiche l'informatica e le nuove tecnologie abbiano davvero migliorato la nostra vita, permettendoci di soddisfare desideri prima irrealizzabili?
Sulle prime vorrei rispondere di sì. D'istinto. Anche perché, altrimenti, perché scriverei su un sitoweb?Il solo fatto di essere inrete, penso,cidà accesso a tutto lo scibile umano.
Ci mette a disposizione una conoscenza inattingibile a uomini del passato che potevano solo sognare un simile accumulo di sapere o provare a tradurlo in un'opera titanica per l'epoca ma pur sempre vittima della necessità di selezionare e riassumere, come l'Encyclopedie di Diderot eD'Alambert.
Eppure, dati alla mano, la diffusione di internetcoincide con l'avanzamento dell'analfabetismo di ritorno. Qualsiasi giornalistasperimenta ogni giornoquanto sia difficile adattare le proprie capacità espressive alla domanda sempre più incalzante di "semplicità". Una domanda legittima fin quando esiste un modo più semplice per dire ciò che stiamo comunicando in modo complesso, ma che oltre questo confine segnala una regressione collettiva sul piano delle facoltà mentali.
Lamaggior parte delle nuove tecnologie ha uno scopo preciso: comunicare. Come se fino a qualche decennio fa non lo avessimo mai fatto. Come se le generazioni precedentiavessero trasferitoil deficit tecnologicoin undeficit relazionale, ambitopatologico chesi èinvece espansoconl'avvento di strumenti che per connetterci l'un l'altro richiedono un vero e proprio atto d'isolamento, una perdita di contatto col mondo.
Appare persino retorico domandarsi se oggi comunichiamo meglio, o se forse non comunichiamo solo di più. E peggio. In modo sgrammaticato e confuso. Al semplice scopo di appagare la nostra emotività,riproducendohashtag e colorando le foto dei profili per prender posizione, schierarci e partecipare in qualità di nomadi digitali alla democrazia binaria globale del "si" o del "no", dello 0 o dell'1, dello yin o dello yang.
E sempre a proposito di comunicazione: cosa di precisocomunichiamo, alla fine? Informazioni per lo più vane e trascurabili che fatichiamo a verificare e controllare, ammesso che ci sia mai passato per la testa di farlo. E che fatichiamo a organizzare in un orizzonte di senso compiuto, compito che assolvono egregiamente, invece, software di elaborazione dei dati che sanno di noi più di quanto noi stessi potremmo ricordare.
Conclusioni? Purtroppo la nostra specie non ricorda mai, ma proprio mai, che 'est modus in rebus'. E che un buon quotidiano fresco di stampa ricco di periodi lunghi ed eleganti, insieme a un giornale radio letto con voce austera e profonda (taccio sullaTV che meriterebbe un capitolo a parte), lunghe e vanagloriose assembleein polverose e militaresche sedi di partito, enciclopedie da consultare e classici da collezionare, musica in vinile, oscure e odorosesale cinematografichee lettere scritte a mano, o magari con una Olivetti lettera 35, ma anche la cara vecchia linea fissa e le struggenti cabine pubbliche, non sono semplice materia per divagazioni nostalgiche o revanscismi luddisti. Sono solo esempi di ciò che fior di filosofi, da migliaia di anni, chiamano misura, proporzione, armonia.