Matteo Renzi questa mattina, all'assemblea dei Giovani di Confindustria, ha annunciato per l'ennesima volta che finalmente la crisi economica è finita e che ora è il momento "di smetterla di remare contro il Paese". C'è da sottolineare che, se si potesse uscire dalla crisi annunciandone semplicemente la fine, sia l'attuale premier che Silvio Berlusconi sarebbero già riusciti da tempo a risollevare le sorti del nostro Paese.

Purtroppo però le crisi economiche non si curano - ammesso che al giorno d'oggi i governi riescano a curarle - con discorsi e buoni propositi. La storia ci insegna che per uscire da una forte depressione economica è necessario creare posti di lavoro, ma dato che i capitali e le aziende private fuggono in massa all'estero, l'unico modo per far diminuire il tasso di disoccupazione sarebbe quello di creare nuova occupazione tramite investimenti statali. 

Al contrario, Renzi ritiene che in una situazione di crisi economica come quella che, nonostante i suoi numerosi proclami, stiamo vivendo, l'opzione migliore sia quella di garantire la massima mobilità del lavoro, permettendo così alle imprese di licenziare o di fornire stipendi "da fame" ai propri dipendenti e, contemporaneamente, cercare di convincere giovani di trent'anni che è normale lavorare un mese su tre.

Renzi, priorità al referendum costituzionale

Ma sotto sotto a Renzi non importa molto dei tassi di disoccupazione: il suo obiettivo principale, infatti, resta quello del referendum costituzionale. Per il Presidente del Consiglio il referendum rappresenta "lo spartiacque per la governabilità del Paese", ovvero: se la riforma verrà accettata allora io governerò - al posto vostro si intende - il Paese, altrimenti nulla cambierà e rimarrà tutto come ora. Ma se ormai siamo usciti dalla crisi, perché dovrebbe allarmarci il pensiero che tutto rimanga immutato? Infine, pare che il premier abbia deciso di fare un passo indietro affermando che con il referendum "non si decide sul futuro di un presidente del Consiglio o di un altro", ritrattando quindi, anche se in modo molto velato, quanto da lui stesso comunicato in precedenza.