Ahmed Said è il presidente della commissione Affari esteri del Parlamento egiziano che ha garantito ai coniugi Regeni piena luce sulla vicenda di Giulio, entro un paio di mesi. Ma c’è un altro Ahmad Said che, in pratica, si trova sul fronte opposto. Infatti, il 19 novembre del 2015 fu arrestato al Cairo per aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata e per essere una “minaccia alla sicurezza nazionale”.

Questo Ahmad Said, secondo il governo del Cairo, così pericoloso in realtà è un chirurgo, scrittore e attivista per i diritti umani. Vive e lavora in Germania ma ogni 19 novembre torna in patria per la commemorazione delle 47 vittime di una rivolta che, nel 2011, infuriò per cinque giorni tra manifestanti e polizia.

In questo evento, noto anche come la “battaglia popolare di Shera’a Muhammad Mahmoud”, il bilancio degli scontri fu completato da tremila feriti.

Anche nel 2015, Said ritorna al Cairo per la commemorazione che però degenera. Si verificano scontri e tafferugli con contusi e feriti. Egli da buon medico si prodiga nei soccorsi ma la polizia, che lo aspettava al varco, coglie al volo l’occasione e trovandolo, comunque, nel mezzo di una manifestazione non autorizzata lo arresta.

Viene condannato a due anni di reclusione ma grazie alla mobilitazione internazionale ne sconta solo uno. Tuttavia conosce la violenza e le Torture delle carceri egiziane, come Giulio Regeni.

Il carcere e le torture

Ricorda quella terribile esperienza e illustra la situazione attuale dell’egitto, in un’intervista rilasciata al TPI, The Post Internazionale.

Parla anche di Giulio Regeni, ritendo che sia una delle tante vittime di quella dittatura.

Secondo lo scrittore egiziano, oggi “chiunque può scomparire, essere torturato e ucciso in Egitto”, l’opinione pubblica mondiale deve essere informata. Ritiene che Giulio Regeni sia uno delle vittime di queste violenze che ormai capitano "tutti i giorni ad altri egiziani”.

Ma è diventato un simbolo per loro che difendono i diritti umani, perché è morto per aver "detto la verità su quel paese".

Said si può considerato un fortunato perché la sua fama internazionale gli ha salvato la vita ma non quattro giorni di violenze e torture che si rifiuta di rivivere tuttavia le scosse elettriche e le sigarette spente sulla pelle, anche volendo, sono impossibili da dimenticare.

Sulla causa delle torture, Said dice che volevano informazioni sugli attivisti egiziani ed erano convinti che fosse collegato ad alcuni politici tedeschi.

Siamo tutti Kaled Said

Il suo caso fu considerato da Amnesty International “esemplare del sistema ingiusto e arbitrario della giustizia egiziana” e “dell’implacabile campagna del governo” per impedire le voci critiche nei suoi confronti. Insieme a lui furono arrestati e accusati degli stessi reati, altri cinque attivisti egiziani. Due dei quali dissero di essere stati torturati e maltrattati, durante l’interrogatorio e che le indagini erano state condotte da un unico ufficiale dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale.

Said non ha dubbi sugli assassini di Giulio Regeni: "gli apparati di sicurezza egiziana".

Lo avevano già fatto nel 2010 "massacrando, fino a renderlo irriconoscibile" e provocarne la morte, il giovane Khaled Said. Un ragazzo di 28 anni di Alessandria d’Egitto. La sua colpa, essersi rifiutato di essere perquisito, senza alcuna spiegazione, da due poliziotti. Divenne uno dei simboli della Primavera araba con lo slogan “Siamo tutti Khaled Said”.