Da decreto d'urgenza a disegno di legge. Da disegno di legge a vaghe linee guida. La "Buona Scuola" del premier Matteo Renzi torna in prima elementare e c'è da rifare tutto il percorso scolastico verso la maggiore età. Punto e a capo, come si insegna ai bambini alle prime armi.
Promesse, aspettative e grandi speranze soprattutto per gli insegnanti si sono vanificate in meno di 48 ore.
Tutta colpa, pare, della "svolta" dittatoriale del presidente del Consiglio, accusato dalle opposizioni di fare tutto con il proprio partito e con i propri ministri senza rispettare la volontà delle minoranze politiche e coinvolgendo poco il presidente della Repubblica.
E' questo il motivo del passo indietro di Renzi sul decreto legge sulla scuola. Una decisione improvvisa che ha spiazzato lo stesso ministro dell'Istruzione Stefania Giannini, che si è detta "basita" dalla decisione del premier, salvo poi ieri tranquillizzare gli animi in conferenza stampa dopo il consiglio dei Ministri. L'urgenza della riforma c'è (fremono quasi 150mila insegnanti convinti di essere assunti dal 1 settembre 2015) ma il premier ha dovuto cedere alle pressioni e allungare i tempi.
"Non c'è nessun rischio che slittino, lavoreranno dal primo settembre 2015", ha assicurato Renzi. Ma ora è tutto da vedere. Che cosa voglia dire passare da un decreto a un ddl in Italia è presto detto. Vuol dire seguire la lunga e tortuosa via parlamentare dopo l'approvazione in Consiglio dei Ministri, con opposizioni alla carica e centinaia di emendamenti che faranno uscire dal Parlamento una legge ben diversa da quella presentata e proposta dal governo.
L'impianto della legge è uno dei migliori degli ultimi decenni nel nostro Paese. I docenti senza cattedra finalmente assunti ("Mai più precari" aveva gridato Renzi nel giorno del suo insediamento alla presidenza del Consiglio), la meritocrazia in prima linea con la promessa di ottenere uno stipendio in base alla bravura dell'insegnante e non grazie ad un semplice scatto di anzianità, abolizione delle infinite graduatorie attraverso un nuovo sistema che si basi solo sui concorsi, incentivi per le famiglie che decidono di iscrivere i propri figli alle scuole private e paritarie.
Insomma, una riforma che non va a modificare semplicemente i cicli scolastici, come avvenuto fino ad ora, ma una legge che entra dritto nell'impianto della scuola avvicinando gli alunni al mondo del lavoro, sconfiggendo la dispersione scolastica (oltre il 17% dei ragazzi non termina gli studi), rafforza la tecnologia e la digitalizzazione. Una scuola concreta e meritocratica, come Renzi ha più volte pubblicizzato.
Ora, però, la questione si complica e i "tecnici" del governo sono al lavoro per sbrogliare la matassa. Diverse le questioni in ballo. Per prima cosa bisogna stabilire cosa fare per garantire un rapido dibattito parlamentare e per assicurarsi una approvazione piena, veloce e senza rilievi da parte del Quirinale.
Ma soprattutto il governo non deve e non può perdere la faccia con le migliaia di precari che fino a ieri speravano nell'immissione in ruolo a partire da settembre. Quegli insegnanti che da anni, e anche da decenni, aspettano una cattedra. La soluzione sembra una sola, a questo punto. Serve almeno un decreto legge che riguardi solo la questione precari e che comprenda, dunque, solo il tema assunzioni dal primo settembre, come promesso dal premier in troppe occasioni. Tutto il resto, invece, potrebbe restare nel disegno di legge, da approvare seguendo il normale iter parlamentare.