Il magnate statunitense e candidato alla Casa Bianca, Donald Trump - cui gli ultimi sondaggi per le Primarie del Partito repubblicano assegnano il primo posto - ha dichiarato di essere d'accordo con l'approssimazione a Cuba, orchestrata dell'Amministrazione Obama. (Secondo l'ultimo sondaggio autorevole, Trump è appaiato all'ex chirurgo afroamericano Ben Carson, entrambi a quota ventitré per cento delle intenzioni di voto, nda).

La notizia ha destato stupore, e non solo perché la formazione dell'elefantino - ma non il suo elettorato - era stata abbastanza compatta nel criticare le recenti aperture di Barack Obama verso l'Isola caraibica; con l'eccezione, in sostanza, del solo senatore del Kentucky, Rand Paul, anch'egli candidato alla Presidenza, ma con poche chance di vittoria. Erano sopratutto ancora freschi i ricordi del 1999, quando il miliardario di New York fece visita alla comunità cubana di Miami, e al museo della Brigata d'assalto 2506, comunemente detto "dei veterani anticastristi": il principale gruppo di combattenti cubani esiliati, che dopo l'addestramento per opera della Central intelligence agency (Cia), parteciparono nel 1961 al rovinoso sbarco nella Baia dei porci.

Quando Trump era anticastrista

Ebbene, nell'occasione Trump proclamò che Fidel Castro «è stato un assassino, è un criminale, e non credo si debbano premiare soggetti che hanno fatto quello che lui ha commesso». In quei giorni rincarò la dose, con un editoriale sul "Miami herald": «Sì, l'embargo è costoso, e se facessi affari insieme a dei partner europei, potrei guadagnare milioni di dollari. E tuttavia preferisco perdere questi milioni, piuttosto che il rispetto di me stesso».

Il clamoroso cambio di rotta del magnate

Adesso però il clima è cambiato, e intervistato da una testata online di tendenza conservatrice (il "Daily caller" di Washington - District of Columbia), il candidato ha espresso il suo appoggio - tiepido quanto si voglia - alla politica del disgelo.

Parlando del riavvicinamento Usa - Cuba, il reporter di "The Daily caller" ha chiesto: «Lei crede che si tratti di una buona politica, oppure è contrario a quest'apertura degli Stati uniti verso Cuba?». E il repubblicano ha risposto: «Credo che vada bene. Credo che vada bene, ma dovevamo stringere un accordo migliore. Il principio di portare avanti un'apertura verso Cuba - cinquanta anni sono stati sufficienti - l'idea di aprirci nei confronti di Cuba, va bene. Penso però che dovessimo stipulare un accordo più energico». Altri candidati repubblicani invece - non solo l'ex governatore della Florida, Jeb Bush, ma anche il senatore Marco Rubio, e quello texano Ted Cruz, ambedue di origine cubana - mantengono il loro ruolo di avversari acerrimi del disgelo.

E il loro ritardo nei sondaggi.

L'elettorato repubblicano dice basta all'embargo

Trump, beninteso, non si è sinora espresso sull'eliminazione dell'embargo, ma c'è chi crede che non la pensi in modo dissimile rispetto alla candidata democratica, Hillary Clinton. La quale a luglio - in visita all'Università internazionale della Florida - dichiarò di essere contraria al bloqueo. In verità i maligni sostengono che Trump darebbe per perduta la Florida intera - ove dovrebbero trionfare Bush o Rubio - e che per questo si concederebbe il lusso di dichiarazioni eterodosse. In ogni caso - secondo un sondaggio pubblicato a luglio dall'istituto Pew - addirittura il cinquantanove per cento degli elettori dell'elefantino sarebbe contrario alla politica dell'embargo.