Si avvicina l'intervento militare dell'Occidente in Libia. L'arrivo a Tripoli del governo di unità nazionale riconosciuto dall'Onu ha aperto la strada alla formazione di un esecutivo che, una volta insediatosi, potrà chiedere legittimamente l'aiuto straniero per garantire la stabilità del Paese. L'occasione è data dal fatto che il governo di riconciliazione nazionale libico, guidato da Fayyez al Serraj e sostenuto dalle Nazioni Unite, non è appoggiato dalle forze politiche e militari islamiste locali, che hanno minacciato una reazione armata all'arrivo di Serraj a Tripoli.
Quest'ultimo ha proclamato l'entrata in carica del suo governo di accordo nazionale e ha lanciato un appello a "unificare gli sforzi dei libici per contrastare l'Isis". Ma le principali milizie libiche hanno esortato la popolazione a opporsi a quello che considerano "un governo designato dall'Onu", il cui eventuale insediamento a Tripoli trascinerebbe la città in "un conflitto armato permanente".
Tobruk e Tripoli boicottano Serraj
Il parlamento di Tobruk (dove siedono deputati vicini al generale Khalifa Haftar) e il governo di Tripoli (capeggiato dal premier Khalifa Ghwell) non accettano di riconoscere l'esecutivo di Serraj e continuano a boicottare il suo insediamento.
"Serraj ha due opzioni: consegnarsi alle autorità o tornare a Tunisi", ha avvertito Ghwell. Sembra dunque difficile “un pacifico e ordinato passaggio dei poteri" al governo di unità nazionale libico come auspicato dall'inviato delle Nazioni Unite, Martin Kobler. L'eccessiva frammentazione sul territorio, dove le alleanze e le ostilità nei confronti del premier designato cambiano quasi ogni giorno, può rappresentare quindi una valida motivazione (oltre alla lotta al sedicente Stato islamico) per accelerare la richiesta di un intervento militare occidentale con l'obiettivo di riportare la sicurezza. Ma visto il triste precedente del 2011, l'Europa e gli Stati Uniti devono decidere fino a che punto intendono spingersi per non andare incontro a un altro fallimento.
Al lavoro di intelligence sul territorio per far sbarcare Serraj in Libia potrebbe infatti seguire un pericoloso invio di truppe per garantire la protezione del nuovo governo con numerosi rischi politici, militari ed economici.
All'Italia la guida della missione Liam
Anche l'Italia ha un ruolo di primo piano in questo contesto. Il governo sta considerando l'impegno dei Tornado per combattere l'Isis in Libia, come ha lasciato intendere il generale Enzo Vecciarelli, capo di stato maggiore dell'Aeronautica: "Il nostro compito è prepararci, posso assicurare che tutte le Forze armate sono pronte a intervenire laddove e come il governo riterrà opportuno". No comment, invece, sull'opzione di inviare piccoli nuclei di forze speciali per azioni mirate sul terreno, che secondo alcuni analisti sarebbero già in Libia, anche se Palazzo Chigi ha sempre smentito.
All'Italia spetterebbe inoltre la leadership della Liam (Libya international assistance mission) una missione di ricostruzione delle forze armate e di polizia della Libia con l'invio di addestratori e il possibile presidio di strutture strategiche, dal palazzo presidenziale ai siti petroliferi, per ristabilire la sicurezza.