Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Citiamo il compianto John Belushi, direttamente da "Animal House". Matteo Renzi non ha l'espressione da duro ma il suo attacco post-referendum è stato durissimo. Il premier temeva il risultato della consultazione che, se validata, avrebbe inferto una spallata al suo esecutivo. Esattamente il viatico peggiore in vista della discussione sulle mozioni di sfiducia al Governo che prenderà il via oggi, degli appuntamenti elettorali di giugno e del referendum costituzionale di ottobre, ma così non è stato.

La Caporetto delle opposizioni

Non soffermiamoci più di tanto su quanto gli italiani erano chiamati a votare nel famoso quesito sulle trivelle. In fin dei conti pensiamo che, a parte qualche associazione ambientalista non politicizzata e, pertanto, merce rara nel Belpaese, in pochi fossero interessati davvero al destino di 21 concessioni per le estrazioni degli idrocarburi entro 12 miglia dalla costa. Era fondamentale, per la maggior parte dei sostenitori del SI, lanciare un segnale chiaro al Governo e metterne in serio dubbio la maggioranza in vista degli appuntamenti che contano, compreso il referendum sulla Costituzione.

Tradotto in politichese, chi auspicava una ideale coalizione tra pentastellati, sinstre radicali, destre più o meno moderate e minoranza dem è rimasto profondamente deluso ed il fatto che quasi il 70 per cento degli elettori sia rimasto a casa la dice lunga sulla Caporetto a cui sono andate incontro le opposizioni.

Le mozioni di sfiducia

Appena un giro di lancetta dopo la chiusura delle urne, Renzi ha fatto preparare le telecamere a Palazzo Chigi. Probabilmente non stava più nella pelle, sin dalle 19 di domenica quando i risultati relativi all'affluenza hanno lasciato intendere che non si poteva arrivare al quorum. E giù, a togliersi autentici macigni dalle scarpe, ad iniziare dal riferimento indiretto  al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, tra i promotori del referendum per "pure esigenze interne", per poi proseguire al resto della sfilacciata truppa di opposizione, accusata di fare soltamente "demagogia".

Il premier ha praticamente aperto anzitempo la nuova battaglia che lo attende in  Parlamento, sul suo capo pendono le mozioni di sfiducia presentate da M5S, Forza Italia e Lega Nord motivate dallo scandalo "Petrolgate", vicenda giudiziaria che ha portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi. Riteniamo che anche quest'ostacolo sarà oltrepassato dal Governo, i cui scontri campali sono invece costituiti dalle amministrative di giugno (si vota nelle tre maggiori città italiane) e dal citato referendum costituzionale.

Brunetta e la sindrome di Tafazzi

L'esigenza di presentarsi il più possibile alla stampa la dice lunga sui timori di Matteo Renzi. Ma il tenore delle opposizioni è dimostrato da dichiarazioni surreali come quelle date in pasto ai giornalisti subito dopo il fallimento del referendum sulle trivelle.

Citiamo Renato Brunetta, quando sottolinea che il dato più importante sono "i 16 milioni di italiani che hanno votato il referendum sulle trivelle" perché "16 milioni di italiani hanno disobbedito a Renzi (che indirettamente ha promosso l'astensione, ndr) e sono la base per vincere il referendum confermativo (dove non c'è bisogno di nessun quorum, ndr) sulla Costituzione". Dunque la citata base vittoriosa è costituita da un 30 per cento di elettori "disobbedienti"? L'Italia vista da Brunetta è costituita da "renziani" ed "antirenziani"? Se così fosse non ci sarebbe partita, dati alla mano. Chi si ricorda di Tafazzi, il demenziale personaggio lanciato da Aldo, Giovanni e Giacomo negli anni '90, l'omino in calzamaglia nera interpretato da Giacomo Poretti che saltellava colpendosi l'inguine con una bottiglia in plastica? Ecco, riteniamo che le opposizioni all'attuale governo siano in preda ad una sorta di "sindrome di Tafazzi", con la differenza che prediligono le bottiglie in vetro.