Il tema della maternità surrogata è assai delicato perché consente di avere un figlio attraverso un'altra donna che, dietro corrispettivo, ha una gravidanza e lo partorisce per la coppia appaltante. In Italia tale pratica è vietata dall’articolo 12 della L. n. 40/2004, che punisce la surrogazione di maternità con la reclusione fino a 2 anni e con la multa da 600mila euro a 1 milione di euro.

Su tale tema quindi la giurisprudenza italiana ha sempre affermato che per l’ordinamento italiano, deve considerarsi madre esclusivamente chi partorisce il figlio, vietando cosi' qualunque forma di maternità surrogata anche se praticata all'estero. A conferma di ciò infatti la Corte di Cassazione con la sentenza n 24001 del 2014 condannò 2 coniugi, completamente sterili, per aver ottenuto un bambino in Ucraina con l'utero in affitto. Nel caso di specie, il fatto che marito non fossero i genitori biologici del minore ha determinato una violazione della legge ucraina che consente tale pratica solo se almeno il 50% del geni del nascituro provenga dalla coppia committente.

Recentemente la Corte di Cassazione è ritornata sulla questione, occupandosi del caso di una coppia che era andata sempre in Ucraina per avere un figlio con la maternità surrogata, tramite una donna che dopo la nascita del figlio aveva prestato il suo consenso a che il neonato fosse iscritto all’ufficio di Stato civile di Kiev che indicava, come genitori i 2 italiani. Il bimbo infatti era effettivamente per il 50% figlio dell’italiano che lo ha riconosciuto.

Le motivazione della Cassazione 

I giudici della Suprema Corte con tale sentenza n.13525/16 hanno ritenuto che benchè in Italia il ricorso all'utero in affitto rimane vietato, anche se la Corte costituzionale ( con la sentenza n.162 del 2014 ) si è mostrata piè flessibile difronte al divieto di fecondazione eterologa, la coppia italiana che fa ricorso all’utero in affitto in Ucraina, non commette reato se li’ tale pratica è lecita.

Gli Ermellini, mutando orientamento, hanno quindi respinto il ricorso della Procura che voleva condannare i coniugi per violazione della Ln.  40 del 2014 sulla fecondazione assistita e false dichiarazioni per quanto riguarda le generalità del neonato e per falsità in atto pubblico. Le motivazioni sottese a tale decisione in breve attengono alla questione delle doppia incriminabilità e sul fatto che i coniugi imputati non avevano nessuna volontà di commettere un illecito. Infatti sul punto una 1^ tesi giurisprudenziale ritiene che affinchè la legge italiana punisca il reato commesso all’estero, è necessario che il fatto sia previsto come reato anche nello Stato e quindi dall’ordinamento del luogo in cui è stato consumato.

Un’altra tesi giurisprudenziale invece ritiene che questo ragionamento si può applicare solo nel caso dell’estradizione e all’opposto la quantificazione delle fattispecie penale debba avviare esclusivamente in base alla legge penale italiana.

Doppia incriminabilità e contrasti giurisprudenziali

Gli Ermellini hanno ritenuto che proprio sulla base di tali oscillazioni giurisprudenziali, la coppia devesse essere assolta posto che il problema della doppia incriminabilità assume rilievo ai fini della penale perseguibilità della condotta. A questo proposito è stato richiamato anche l’articolo 7 della CEDU che sancisce il principio della legalità dei delitti e delle pena con la conseguenza che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono.

La decisione finale della Suprema Corte evidenzia anche che nei confronti della coppia non si è potuto configurare nemmeno il reato di falsa attestazione, nel momento in cui i coniugi non avevano detto della maternità surrogata ad un funzionario del consolato che li aveva fermati. Per altre info di diritto  potete premere il tasto Segui accanto al mio nome.