In diverse centinaia di persone, forse complessivamente quasi 500, hanno sfidato il caldo di fine luglio e una giornata di sciopero dei mezzi pubblici nella capitale, per partecipare al presidio indetto dai sindacati della scuola nei pressi dell'ambasciata turca a Roma. Il sit-in era stato convocato per protestare contro le epurazioni che il presidente della Turchia Erdogan ha messo in atto contro 21.000 insegnanti del suo paese, privati del proprio posto di lavoro, a seguito del fallito colpo di stato dello scorso 16 luglio.
Il sit-in era stato indetto dai sindacati confederali del mondo dell'istruzione FLC CGIL, CISL Scuola e UIL Scuola, che hanno esposto uno striscione con su scritto "L'istruzione rende liberi. La libertà d'insegnare la garantisce" (vedi foto), ma molte erano anche le bandiere dei sindacati di base, fra i quali Unicobas e Gilda. In piazza anche vari esponenti del mondo associativo, come ARCI, Legambiente e Libera, e politico, come Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista. Ma soprattutto sono stati molti semplici cittadini a scendere in piazza per protestare contro le epurazioni messe in atto nelle ultime settimane dal governo turco di Erdogan, il quale oltre agli insegnanti ha impresso una svolta repressiva anche contro diverse migliaia di dipendenti pubblici, giudici, poliziotti, procuratori e perfino esponenti del mondo religioso.
La protesta di questo martedì 26 luglio a Roma è andata avanti per quasi tre ore, da poco dopo le ore 17 fino praticamente alle 20, in Piazza San Martino della Battaglia (angolo Via Palestro), vale a dire a poche centinaia di metri dall'ambasciata turca in Italia. Durante il sit-in una sindacalista ha esibito ai giornalisti una copia del libro "Di generazione in generazione" di Ivo Lizzola, spiegando l'importanza del fatto che il mondo dell'educazione sia in prima linea contro la stretta repressiva di chi vuol mettere a tacere la libertà di insegnamento. I leader sindacali alla stampa hanno anche ribadito le ragioni del presidio, invocando una presa di posizione chiara non solo dell'Italia ma anche e soprattutto dell'Unione Europea contro le misure liberticide del governo di Erdogan.