Il quarto ciclo di incontri che si è tenuto ad Astana potrebbe tracciare la via di una soluzione politica per la Siria? Certamente è stata un successo, alla luce delle premesse non buone, la presenza ancora una volta dei rappresentanti del governo siriano insieme alla controparte, i ribelli moderati, con Russia, Turchia ed Iran nel ruolo di garanti. Sono inoltre intervenuti, in qualità di osservatori neutrali, i rappresentanti di ONU, Stati Uniti e Giordania.
Il risultato concreto di Astana IV riguarda la creazione di quattro zone di sicurezza in Siria, le cosiddette 'de-escalation zones', all'interno delle quali non potranno esserci operazioni belliche. Le uniche azioni militari consentite, infatti, sono quelle contro l'Isis e le milizie jihadiste ex qaediste.
Le quattro aere di sicurezza
In Siria è stato praticamente tracciato un asse meridiano che si estende da nord a sud, nella parte occidentale del Paese, dal confine con la Turchia a quello con la Giordania. I Paesi citati potranno esercitare la propria influenza nelle due aree vicine: quella settentrionale, la più grande, abbraccia la provincia di Idlib.
Quella meridionale sorge attorno alle città di Deraa e Quneitra. Al centro altre due zone di sicurezza, a nord di Homs ed in prossimità di Damasco. Qui l'influenza del governo di Assad sostenuto da Mosca è più che evidente. Garantendo il 'cessate il fuoco' con i ribelli moderati, l'esercito siriano si potrà concentrare sugli attacchi alle sacche di resistenza delle forze anti-governative islamiste, la più importante è sempre rappresentata dall'ex Fronte al-Nusra. Sebbene sia prematuro dirlo oggi, l'idea sembra proprio quella di una divisione del Paese sulla base di una ripartizione etnica, senza dimenticare che una vasta parte di territorio che fa capo a Raqqa non rientra certamente in questo accordo.
Allo stato attuale è occupata dall'Isis, ma sta per subire il 'colpo di martello' della coalizione a guida USA nella quale le milizie curde recitano certamente la parte del leone.
Dubbi e perplessità
Tutte le forze presenti ai colloqui che si sono svolti nella capitale kazaka si sono impegnate a rispettare gli accordi. La tregua avrà una durata di sei mesi, ma potrà essere rinnovata. Russia, Turchia ed Iran si sono date tempo fino al prossimo 4 giugno per stabilire quelli che saranno i confini definitivi delle aree di sicurezza. Se però è chiaro per tutti che i tre Paesi citati avranno il compito di supervisionare la tregua, non è affatto agevole immaginare a chi spetterà il compito fondamentale di garantire aiuti umanitari alla popolazione civile all'interno delle 'de-escalation zones'.
Il governo siriano si è impegnato a rispettare il cessate il fuoco finché i ribelli faranno altrettanto. Non si capisce se e come le Nazioni Unite potranno avere un ruolo in questo scenario. Nelle aree suddette, infatti, dovrebbero essere realizzate tutte le condizioni di una regolare assistenza sanitaria e, pertanto, dovranno essere ripristinate le infrastrutture mediche ed ospedaliere, oltre a quelle destinate al rifornimento idrico e di altri beni di prima necessità. Chi svolgerà questo compito è una domanda alla quale, in quel di Astana, non è stata fornita una vera risposta.
ONU e Stati Uniti, soltanto spettatori
Sebbene l'inviato speciale dell'ONU per la Siria, Staffan De Mistura, abbia elogiato l'istituzione delle 'de-escalation zones' ed abbia inoltre sottolineato che anche gli Stati Uniti avranno un ruolo attivo su tutta la questione, ciò che è stato espresso ad Astana sembra parzialmente smentirlo.
Siamo praticamente alla vigilia dei nuovi colloqui di pace sulla Siria che si terranno a Ginevra dal 16 al 19 maggio, di fatto non aggiungeranno nulla in più rispetto a ciò che è stato sancito in Kazakistan. L'ONU, al momento, sembra tagliata fuori da qualunque vero ruolo perché in tutto questo tempo non è riuscita a porsi come interlocutore credibile per una soluzione alla crisi siriana. In fin dei conti, De Mistura era presente ad Astana esclusivamente in qualità di osservatore ed il Palazzo di Vetro sembra destinato a 'convalidare' una soluzione decisa dall'asse Mosca-Ankara-Teheran. A conferma di ciò, le dichiarazioni di Walid al-Moallem, ministro degli esteri siriano. "Nessuna forza internazionale sotto il comando ONU è prevista nelle 'de-escalation zones', le Nazioni Unite e le potenze internazionali non avranno alcun ruolo in queste aree".
Stesso ruolo marginale è stato riservato agli Stati Uniti: nel suo desidero nemmeno tanto nascosto di colmare le evidenti lacune di Barack Obama sulla questione siriana, Donald Trump si è reso protagonista di un gesto sconsiderato. L'attacco missilistico contro la base siriana di al-Shayrat, apparentemente giustificato dal presunto attacco chimico dell'esercito siriano a Khan Sheiukun le cui responsabilità non sono ancora state provate, ha troncato le premesse di un vero dialogo con la Russia. Qualunque credibilità, già minata dall'immobilismo apparente di Obama che in realtà supportava attivamente i ribelli anti-Assad, è stata definitivamente frantumata.
Rafforzata la posizione di Assad
Vincitore morale del quarto round dei colloqui di Astana è, per il momento, il presidente siriano Bashar al-Assad.
Il suo governo conserva un ruolo di primo piano anche nelle zone di sicurezza, in particolare quelle di Homs e Damasco. Nessuno dei tre 'tessitori' di Astana mette in dubbio la legittimità della sua amministrazione, nemmeno la Turchia il cui interesse principale è quello di mantenere un ruolo cardine su tutta la questione e scongiurare la presunta minaccia curda al proprio confine con la Siria. L'Iran, da parte sua, conserva la propria immagine di 'garante della tregua' in barba alle proteste statunitensi e la Russia di Putin si appresta a rafforzare il ruolo di potenza egemone in Medio Oriente, perché la presenza militare in Siria gli garantisce oltretutto uno sbocco nel Mediterraneo con il conseguente incremento dell'influenza politico-militare.