Un gruppo di ricercatori dell'Università di Queensland dopo anni di studi sono riusciti a sviluppare un metodo non invasivo che rompe le placche amiloidi neurotossiche, responsabili della perdita di memoria e del declino cognitiivo nella malattia di Alzheimer. Questa tecnica si basa sull'utilizzo di ultrasuoni, innocui per l'organismo umano, che potrebbero rivoluzionare il trattamento della patologia, ripristinando la memoria dei pazienti.

Il professor Jürgen Götz, responsabile del progetto svolto presso il centro Clem Jones, ha spiegato che questa terapia ad onde ultrasoniche potrebbe essere in grado non solo sostituire ma anche eliminare la necessità di una terapia farmacologica per il trattamento dell'Alzheimer.

Le onde prodotte dagli ultrasuoni oscillano rapidamente, andando ad attivare le cellule microgliali, responsabili dei sistemi di difesa nel cervello, cosi da rimuovere le placche amiloidi che ne distruggono le sinapsi.

Attualmente la malattia neurovegetativa dell'Alzheimer colpisce più di due terzi dei pazienti affetti da demenza, e ogni anno si registrano sempre più casi in tutto il mondo. Si ritiene che se l'andamento dovesse rimanere questo, nel 2050 solo in Australia si avrebbe un incremento dei malati pari a 900.000. L'introduzione di nuove cure, ha permesso con gli anni un aumento del benessere della popolazione, portando ad un conseguente incremento della vita media. L'invecchiamento è diventato così il primo fattore di rischio per l'Alzheimer e per le altre patologie neurovegetative.

Nonostante gli importanti passi da gigante fatti nel settore della ricerca, per alcune malattie come l'Alzheimer non esistono trattamenti farmacologici efficaci, capaci non solo di ridurre il declino cognitivo ma anche di arrestarlo. Ma ciò che colpisce di più sono i costi per queste cure inefficaci. La tecnologia degli ultrasuoni al contrario ha un costo relativamente basso.

Soprattutto, a differenza dei farmaci che possono andare a colpire le cellule sane, gli ultrasuoni sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica (quella che ricopre l'encefalo) e svolgere i loro effetti.

I risultati ottenuti su topi hanno dimostrato una regressione delle placche amiloidi con un efficacia del 75%. Il passo successivo sarà quello di applicare questa tecnica su modelli animali più evoluti fino ad arrivare all'uomo.