La notizia è stata diffusa al congresso Croi sui virus (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) in corso a Boston, da ricercatori del San Gerardo di Monza e del laboratorio di Virologia dell'università Tor Vergata di Roma. Si tratta di un precedente pericolosissimo che ha indotto i responsabili dei centri di ricerca impegnati nella terapia genica dell’HIV e nell’individuazione di vaccini anti-HIV, a rivedere le regole di sicurezza all’interno dei loro laboratori.
Una scoperta scioccante
Tutto è successo per caso. Nel 2012 un ricercatore, probabilmente italiano, impegnato a lavorare in un centro europeo sul virus HIV, si rivolse al San Gerardo di Monza per donare il sangue e scoprì di essere sieropositivo. Dalla sua anamnesi non furono rilevati comportamenti a rischio. Come ricercatore, aveva lavorato solo su frammenti di virus non in grado di infettare, e non era stato protagonista di alcun incidente che lo avesse potuto esporre al rischio. Pertanto, gli esperti vollero approfondire questo strano caso.
Un campione di sangue del ricercatore infetto fu inviato al dr. Carlo Federico Perno, direttore del centro di Virologia dell'università Tor Vergata a Roma, un centro di eccellenza europeo per il sequenziamento del DNA virale.
Il risultato fu ancora più sconvolgente: il ricercatore era stato contagiato da un virus non umano, un “costrutto” creato in laboratorio, l’NL43 + JRFL.
Questo virus di laboratorio inizialmente non era intero ma solo un frammento, dunque non in grado di replicarsi. Successivamente però, lo è diventato, facendo ipotizzare qualche forma di mutazione che lo ha reso aggressivo. Il paziente fu sottoposto a terapia.
Un virus divenuto aggressivo dopo una manipolazione
Il ricercatore lavorava in un laboratorio con profilo di sicurezza Bsl2 (bio safety lab), relativamente basso, maneggiando innocui frammenti di virus mentre, ad esempio, con l’Ebola, si lavora con un livello di sicurezza molto superiore, Bsl4.
In questo caso il ricercatore stava manipolando dei plasmidi, quindi avrebbe dovuto lavorare in condizioni Bsl3. Preso atto di queste non idonee condizioni di lavorazione, il contagio probabilmente è avvenuto per via aerea, cioè il ricercatore potrebbe “semplicemente” aver respirato il virus. Una condizione senza precedenti, che ha destato grande preoccupazione tra gli esperti di tutto il mondo.
Ma come mai questo è potuto succedere? Probabilmente, spiega il dr. Gori, direttore del reparto Malattie Infettive del San Gerardo, i frammenti di virus erano stati coniugati con una glicoproteina, la Vsv, che ha funzionato come “cavallo di Troia” favorendo l’ingresso nelle cellule di questo “costrutto”, rendendolo molto aggressivo.
In pratica, si era formato un nuovo virus HIV non umano ma altrettanto pericoloso, mentre il ricercatore lo manipolava come se fosse materiale innocuo. A breve, i risultati di questo caso saranno oggetto di una pubblicazione scientifica.