Dura la vita, almeno quella lavorativa, per gli infartuati italiani. Da un'indagine svolta da Laerke Smedegaard, della Herlev & Gentofte Universit di Hallerup (Danimarca), un infartuato su 4 lascia il lavoro entro 12 mesi dal ritorno in azienda. L'addio può essere volontario o involontario. La ricerca si è concentrata su 22.394 persone che hanno avuto un infarto. Ebbene il 24% di esse ha rinunciato al lavoro entro un anno dal riavvio dell'attività lavorativa.

Gli studiosi affermano che si dovrebbe esaminare più accuratamente la 'disoccupazione di ritorno'. Si dovrebbe capire cioè il motivo per cui gli infartuati rischiano il posto di lavoro entro un anno dalla ripresa dell'attività lavorativa.

L'importanza di mantenere il posto di lavoro per un infartuato

Un infarto potrebbe allontanare il paziente dal mercato del lavoro. È questo, in sintesi, il risultato della recente indagine danese. Smedegaard osserva che mantenere il posto di lavoro, per una persona che ha avuto un infarto, è importante per diverse ragioni, come l'autostima e la sicurezza economica.

Il procedimento riabilitativo che generalmente segue il paziente, dopo un infarto, dovrebbe potenziare le sue abilità lavorative nel lungo periodo.

Un'indagine, quella danese, che deve far riflettere anche perché è sempre più bassa l'età del primo infarto. Un team di studiosi della Cleveland Clinic ha scoperto che l'età media delle persone bersagliate da un infarto è scesa dai 64 ai 60 anni. Non sono più rari, inoltre, i casi di infartuati under 50.

Infartuati sempre più giovani

Gli infartuati trovano spesso problemi nel riprendere la loro attività professionale. Ecco perché molti sono costretti a cambiare lavoro o, nei casi peggiori, ad abbandonare definitivamente il mondo del lavoro. Chi sono le persone che rischiano maggiormente la suddetta 'disoccupazione di ritorno'?

Secondo gli studiosi danesi rischiano grosso i soggetti che rientrano in una delle seguenti fasce d’età: 30-39 anni e 60-65 anni.

Sembra che il rischio di un infarto aumenti o diminuisca in base al lavoro che si svolge. Ci sarebbe una correlazione, dunque, tra attività lavorativa e patologie cardiovascolari. Lo dimostra una ricerca condotta nel 2016. Chi rischia maggiormente infarti sarebbero i camionisti, poi gli assistenti sociali. Quelli che corrono meno pericoli, invece, sono i pescatori, gli agricoltori, i giornalisti e gli artisti.