Noi ascoltiamo tutta la musica che vogliamo. E loro guadagnano. O almeno incassano, per il momento. Perché Spotify, il servizio di streaming musicale on demand appena arrivato in Italia, sembra che finora non abbia visto utili. Nata in Svezia cinque anni fa, questa piattaforma musicale è frutto della volontà di combattere il fenomeno dilagante della pirateria musicale.

Presente ormai in 20 paesi, Spotify costituisce in Europa la seconda fonte di ricavi più rilevante per le etichette discografiche e ha fruttato oltre mezzo miliardo di dollari ai titolari dei diritti d'autore.

Ma siamo sicuri che sarà un successo? La compagnia svedese non comunica dati ma gli analisti americani l'hanno messa sotto osservazione e nello scorso autunno un sito ha rivelato i numeri del 2011: 59 milioni di dollari di perdite su 245 di ricavi. E non sarebbe andata diversamente nei tre anni precedenti.

Il modello di business richiede tempo e l'andamento di diverse voci mostra segnali incoraggianti. Spotify è un cosiddetto servizio Fremium, in parte gratis (free) e in parte a pagamento (premium). Per ascoltare la musica dal tuo pc senza pagare nulla ci pensa la pubblicità. Se non vuoi interruzioni fastidiose o vuoi avere le tue playlist anche sullo Smartphone paghi tu (4,99 o 9,99 euro).

I fan sono già 20 milioni nel mondo ma a pagare sono circa un quarto. E costituiscono la principale fonte di ricavo perché la pubblicità ha ancora una parte insignificante (non dichiarata, ma dovrebbe aggirarsi intorno al 10%).

Quindi è decisivo il tasso di conversione: cioè quanti degli utenti free diventeranno paganti.

Era circa il 10% nei primi anni, adesso la compagnia dichiara il 20%. Ovviamente quanto più alta è la base quanto più significative sono queste percentuali. Quindi il primo obiettivo resta imbarcare il più alto numero possibile di sottoscrittori. Offrire loro la musica, che poi diventa playlist, che poi diventa relazioni con gli amici di Facebook ma anche con gli artisti.

A quel punto, dopo che si è investito tempo, si stabilisce quella che gli analisti americani hanno definito una emotional connection e diventa alta la probabilità che l'utente si decida a pagare un abbonamento mensile. Insomma, diventi dipendente.

Nel nostro paese il servizio è stato lanciato due giorni fa, in concomitanza con il Festival di Sanremo. 

Presente sia nella versione desktop (vale a dire via computer) che in quella app (a disposizione sull'iPod o sullo smarphone), la versione italiana di Spotify permette all'utente di ascoltare qualsiasi canzone si desideri in streaming, con una libreria che conta già più di venti milioni di brani. Non c'è limite alle piattaforme utilizzabili per l'ascolto: Pc, Mac, iPhone, iPad, Windows Phone 8 e Linux; tutti presentano un'app scaricabile gratuitamente e una in abbonamento, che consente di eliminare la pubblicità e i limiti di ascolto temporali.

Con la proposta Free si consente l'accesso gratuito a tutti i brani musicali presenti nella libreria, unica richiesta: la presenza di una connessione online al pc e la visualizzazione di tre minuti di spot pubblicitari ogni sessanta minuti d'ascolto. Con la Unlimited si pagano 4,99 euro al mese, per ascoltare senza vincoli di tempo e presenze pubblicitarie tutta la musica che si desidera. Infine con la versione Premium, si possono ascoltare i brani da qualsiasi dispositivo mobile e entrare nella propria playlist anche in assenza di connessione Internet (9,99 euro al mese).

Punti di forza di Spotify? La semplicità e la ricchezza dell'offerta musicale, tramite un accesso alla musica immediato e superintuitivo, che stimola l'utente a soffermarsi sulla piattaforma per scoprire anche nuovi generi musicali.



Fondamentale e già citata poi, è l'integrazione sviluppata attraverso i social network: si può conoscere quali brani stanno ascoltando i nostri amici e condividere con loro i nostri, ampliando le conoscenze musicali in modo divertente e interattivo.

Insomma, Spotify punta tutto sul contagio e sul fatto di diventare un canale di distribuzione, costruito sull'accesso e non sulla vendita, indispensabile per l'industria musicale. E quando ci riuscirà sarà too big to fail.