In arrivo una profonda rivoluzione tecnologica nel campo della stampa 3D, con radicale abbattimento dei tempi di stampa. Spesso accade che una geniale intuizione nasca in modo del tutto casuale: pensate alla mela di Newton e all'intuizione sull'esistenza della forza di gravità. In questo caso l'intuizione promettente, se non già vincente, è partita dalla visione di un film.
Joseph De Simone, chimico di fama, cofondatore e CEO di Carbon3D (società di Silicon Valley), nonché inventore seriale (180 brevetti a suo nome) nel campo delle nanotecnologie, ha dichiarato di avere ricevuto un'ispirazione vedendo il film “Terminator 2”, di James Cameron. Il protagonista cattivo di quel film, il robot T – 1000, ha la caratteristica di essere allo stato liquido, quindi può adattarsi ad ogni ambiente o contenitore che incontra, per poi assumere, solidificandosi, qualsiasi forma desideri.
Il salto in avanti tecnologico
Per chiarire meglio, immaginate di avere in mano un mazzo di carte da gioco. Se noi iniettassimo della colla tra una carta e l'altra, creeremmo un nuovo oggetto, un parallelepipedo, formato dalla somma e dalla sovrapposizione delle carte.
Questo oggetto potrebbe anche cadere, senza tornare a scomporsi nelle singole carte. Nella stampa 3D attuale, avviene esattamente questo: ogni singola “carta” (o “fetta” di oggetto in costruzione) viene stampata bidimensionalmente. Ogni “fetta” (che può assumere qualsiasi forma progettata) viene formata dalla fusione, nella testina, delle resine che formano “l'inchiostro” della stampante 3D. Prima che ogni “carta” si raffreddi, diventando un oggetto bidimensionale a sé stante, viene stampata la “carta” successiva, che si salderà alla precedente, formando così l'oggetto finale tridimensionale, come nel mazzo di carte incollato.
Qui interviene l'intuito di De Simone (che appartiene all'esiguo gruppo - meno di 20 persone - elette in tutti e tre i rami delle National Academies d'America: Scienze, Medicina, Ingegneria) per ribaltare l'attuale filosofia di stampa 3D: non più “assemblare” tante figure bidimensionali ma, nella generazione di stampanti che ha in mente, ci sarà della resina già fusa in un contenitore e la “testina” avrà il compito non più di iniettare materiale fuso, ma di dare forma, estrarre e raffreddare, solidificandolo istantaneamente, l'oggetto in produzione. Per tale operazione, verranno utilizzati vari laser ad ossigeno “soffiato” con precisione micrometrica, allo scopo di consentire lavorazioni più rapide e molto più accurate, senza bisogno di ulteriori rifiniture dimensionali. I tempi di “stampa” potrebbero diminuire fino a cento volte.
Google ci crede
Per dare un'idea della “concretezza” e della possibilità di successo attribuibili a questo progetto, basti sapere che Google vi ha investito 100 milioni di dollari, che si sono aggiunti a quelli precedentemente investiti dal Fondo Sequoia Capital, da Ford e da altri investitori, per ulteriori 51 milioni di dollari. Il primo impianto di stampa, che utilizzerà questa nuova tecnologia, dovrebbe uscire verso fine anno, non si sa ancora a quale prezzo. I primi impianti realizzati saranno di dimensioni e di capacità produttiva sicuramente più adatti all'uso aziendale, piuttosto che a quello privato.