L’APE o anticipo pensionistico è la risposta alle esigenze di flessibilità del modo del lavoro. Una risposta concreta del Governo, l’unica che si è potuta permettere dal punto di vista delle coperture finanziarie. L’APE entrerà nel pacchetto previdenziale contenuto nella prossima Legge di Bilancio che a giorni sarà presentata in Parlamento. La misura non sarà applicata in ugual modo per tutti i lavoratori, ma si divide in tre categorie, diverse tra loro sia come natura che come penalizzazioni per i lavoratori.

L’APE volontaria

La misura sarà uno scivolo rispetto alla pensione di vecchiaia che oggi può essere richiesta a 66 anni e 7 mesi di età.

La natura dell’APE è opzionale, cioè sarà il lavoratore a decidere se, come e quando lasciare il lavoro tra i 63 ed i 66,7 anni di età. La pensione sarà erogata dall’INPS tramite un finanziamento bancario, naturalmente assicurato per rischio di premorienza del pensionato. Una volta terminati gli anni di riscossione anticipata della pensione, questa dovrà essere restituita alla banca con rate mensili trattenute sulla pensione effettiva del lavoratore, per una durata di 20 anni. L’APE cosiddetta volontaria si ha quando un lavoratore sceglie autonomamente e per suoi personali motivi, di lasciare il lavoro in anticipo. In questo caso, il soggetto percepirà subito la pensione in base ai contributi versati fino al giorno dell’uscita.

Rispetto a quanto avrebbe dovuto percepire aspettando i 66,7 anni di età, la pensione sarà ridotta per via degli anni mancanti di contributi dovuti all’anticipo e per via del coefficiente di calcolo della pensione che essendo erogata in età più giovane è ridotta perché in teoria (l’aspettativa di vita) è spalmata in più anni.

Una volta raggiunti i requisiti per la pensione vera e propria, a questi tagli di assegno si aggiungerà quello della rata di prestito da restituire. In totale il pensionato subirà una riduzione di assegno tra il 20 ed il 25%.

APE social

Diversa la storia per coloro che il Governo considera meritevoli di tutela, cioè bisognosi di aiuto.

I disoccupati, quelli senza reddito o con redditi bassi e coloro che sono alle prese con lavori pesanti la cui permanenza mette a rischio la salute dello stesso lavoratore. In questo caso la rata di prestito da restituire sarà azzerata col meccanismo delle detrazioni fiscali. In pratica, una volta raggiunti i requisiti della vera pensione, alla banca i soldi verranno restituiti dallo Stato. Si lavora per circoscrivere meglio le categorie di lavoratori da considerare come impegnati in lavori pesanti e le soglie reddituali da considerare come socialmente deboli. Nel verbale dell’ultimo incontro tra Governo e sindacati il riferimento reddituale è alla NASPI, il sussidio di disoccupazione il cui importo massimo è di 1.300 euro lordi.

Si può liberamente ipotizzare che avranno diritto all’APE social, quindi a costo zero per quanto riguarda la rata (il lavoratore perderà solo gli anni di contributi in meno sul calcolo dell’assegno), i lavoratori con redditi fino a 1.100 euro al mese. La misura è ancora in via di definizione proprio per determinare le categorie da proteggere.

L’APE aziendale

L’unica versione dell’APE che può essere concessa solo dopo accordo tra datore di lavoro e lavoratore è quella aziendale. In questa formula, le aziende che hanno necessità di ridurre l’organico o semplicemente di svecchiarlo, possono spingere il lavoratore a lasciare il lavoro in anticipo. In questo caso, all’azienda spetta l’onere di continuare a versare i contributi al lavoratore per gli anni di anticipo con cui va in pensione.

Il lavoratore in questo caso subirà solo il taglio della rata quando andrà in pensione, anche se sembra che una parte della rata, alla fine sarà a carico sempre del datore di lavoro, magari aumentando attraverso accordi sindacali, gli importi dei contributi da versare per detonare in tutto o in parte la penalizzazione a carico del lavoratore.